MONNALISA BYTES

Science Storytelling

11′ 30″

Quanto vale la natura?

Testi Claudia Canedoli Emilio Padoa-Schioppa Noemi Rota
Immagini Nicolò Etiopia
Una foresta ha più valore intatta o abbattuta?

Un problema alla base delle società moderne

Era il 1997 quando Robert Costanza, ecologo, architetto e docente di Politica Pubblica presso l’Australian National University, pubblicò un articolo destinato a diventare uno dei lavori più citati nella storia dell’ecologia. Fonte:Costanza Costanza, con i suoi colleghi, quantificò il valore economico del Capitale Naturale e dei servizi ecosistemici forniti da tutti gli ecosistemi del mondo. Il risultato fu la cifra enorme di 33 mila miliardi di dollari (1012) all’anno come cifra minima – considerate che ai tempi il PIL globale era di circa 19 mila miliardi di dollari. Questo risultato fu così sconvolgente che buona parte del mondo dell’economia dovette ammettere che gli ecosistemi naturali erano molto più importanti per il benessere umano di quanto il pensiero economico convenzionale avesse dato loro credito. Rendere esplicito il valore monetario della Natura sta avendo molto successo nei paesi democratici, dove la trasparenza è da sempre un valore a cui la società dà rilevanza, poiché porta a nuovi modelli di sviluppo che anziché pensare a quanto vale la legna pensa a quanto vale la foresta dal quale la legna proviene.

Rendere esplicito il valore monetario della Natura sta avendo molto successo nei paesi democratici, dove la trasparenza è da sempre un valore a cui la società dà rilevanza.”

Non considerare il valore della Natura?
Ci è costato caro…

I danni ambientali, in economia, sono chiamati esternalità, perché vengono esclusi dalle valutazioni essendo che sono un fattore che non rientra nel processo decisionale. Il risultato è che il valore della Natura è considerato nullo, e passa inosservato. Ma quali conseguenze ha tutto ciò? Usiamo la Cina come esempio.

Nel 1997 il Fiume Giallo (in tempi più gloriosi, considerato la culla della civiltà cinese) andò in secca per 9 mesi consecutivi per un tratto lungo 700 km, provocando gravissime perdite alla produzione agricola e ingenti danni economici. Appena un anno dopo il Fiume Azzurro (il 3° fiume più lungo al Mondo) esondò, causando la morte di circa 4000 persone, portando 250 milioni di persone a perdere la casa e provocanco circa 20 miliardi di dollari di danni. Ma cosa stava succedendo in Cina? Uno studio dell’iniziativa internazionale TEEB (The Economics of Ecosystems and Biodiversity) Fonte:Sukhdev & Kumar rivelò che a causare queste alterazioni dei regimi idrici era stata la prolungata e massiccia deforestazione, dovuta in gran parte alla necessità di produrre legna per le costruzioni. Come mai la Cina aveva tagliato una superficie di foreste pari a circa una volta e mezza la Spagna, senza prevedere i danni che questo avrebbe causato? 

La Cina aveva semplicemente operato come quasi tutti i paesi che rincorrono (o hanno rincorso) una rapida crescita economica: la deforestazione messa in atto aveva generato elevate rendite economiche, quindi era una pratica non solo supportata ma anche incentivata. Ma il calcolo di questa rendita economica aveva una falla, ovvero teneva conto solo di quanto valeva la legna sul mercato, ma non dei costi ambientali della produzione di tale legna, che arrivarono, irrimediabilmente, e con gli interessi, dal 1997 in poi. Se avessero conteggiato anche i costi ambientali legati alla produzione avrebbero visto che questi erano il doppio del
prezzo della legna (se vendere 1 m3 di legna rendeva 55 dollari, ne costava però 100 di costi ambientali). E questo considerando solo una piccolissima parte dei possibili danni ambientali! Quando la Cina iniziò a valutare i costi ambientali della deforestazione ed ebbe di fronte a sé il quadro reale dei costi della deforestazione, cambiò le sue politiche forestali con una drastica riduzione del taglio delle foreste, che a sua volta andò ad aumentare il prezzo di vendita del legno e a riflettere meglio il suo reale costo. 

Valutare o non valutare?
That is not the question!

L’associare un valore monetario ai sistemi e processi naturali è fortemente dibattuto, e non sono state poche le reazioni contrariate nel vedere associare alla natura un valore monetario. Ha quindi senso dare un valore alla Natura? Non vale già di per sé? Non dovrebbe essere esente da una sua valutazione, perché il suo valore è infinito? In realtà il dare un valore a qualcosa è inevitabile. Dire che la natura non ha prezzo è in sé già una valutazione (vale così tanto che il suo valore è incommensurabile). Se una società sceglie di costruire un residence su una zona costiera, alterando per sempre il fragile ecosistema delle dune di sabbia, soppiantando specie animali e vegetali ed inquinando le acque, ha valutato che tale costruzione è più importante di tutto il resto. Rendere esplicito il valore della Natura e assegnarle un valore economico permette quindi di renderla visibile nei processi decisionali. Ricordate la storia della Cina?

Rendere esplicito il valore della Natura e assegnarle un valore economico permette quindi di renderla visibile nei processi decisionali.”

Ma il valore economico non è l’unica modalità con cui si possono fare delle valutazioni. Esistono anche altre dimensioni del valore, come quella ecologica e culturale. Dal lavoro di Costanza del 1997 ad oggi se n’è fatta di strada, le metodologie di valutazione sono sempre più sofisticate e anche i paradigmi teorici alla base delle valutazioni si sono evoluti. Oggi è comunemente accettato che le valutazioni multiple (ovvero che tengono conto di tutti i tipi di valore) sono quelle più complete perché riescono ad integrare ambiente, società ed economie. Quindi per rispondere alla domanda di prima, sì, ha senso riconoscere alla natura il suo valore, ed usare tutti i linguaggi che conosciamo per comunicarlo!

Uomo e Natura: uniti nella buona e nella cattiva sorte!

Il sistema Terra è un intricato insieme di sistemi più piccoli, che sono legati tra loro da processi meccanici, fisici, chimici e biologici, che si influenzano reciprocamente, con dinamiche spesso complesse e variabili. Insomma, è un gran casino che però funziona. La specie umana, così come le altre specie esistenti sul pianeta Terra, deve la sua esistenza alle condizioni che sono garantite dai processi naturali. I servizi ecosistemici sono i servizi (di supporto, di approvvigionamento, di regolazione e culturale) forniti dalla natura all’uomo, che ci permettono di vivere e prosperare. Esprimono in una parola il fatto che il nostro benessere e la nostra sopravvivenza dipendono totalmente dalla Natura. 

Le città possono diventare un Arcadia futura dove vorremmo vivere?

Lo sforzo forse più tangibile di questo cambiamento di mentalità è il Millenium Ecosystem Assessment, promosso da Kofi Annan nel 2001, allora segretario delle Nazioni Unite, e a cui parteciparono 1360 scienziati di diverse discipline da tutto il mondo. Il MEA Fonte:MEA fu il primo report a stabilire lo stato di salute della Terra, valutando anche lo stato dei servizi ecosistemici. Un po’ come quando andiamo dal medico e ci viene fatto un check up completo per capire come stiamo. Tra le conclusioni del MEA gli scienziati hanno evidenziato come la recente crescita demografica ed economica dell’uomo è avvenuta a discapito dei sistemi e delle risorse naturali, e che c’è stata una perdita sostanziale e in alcuni casi irreversibile di biodiversità e servizi ecosistemici. Di questo passo non ci saranno risorse in futuro per mantenere il benessere della popolazione umana. Incredibilmente, questo report è poco conosciuto al di fuori dell’ambito scientifico, ma dovrebbe leggerlo ogni abitante della terra (la buona notizia è che i 5 volumi tecnici di migliaia di pagine sono riassunti in 6 comode sintesi!). Se la vostra casa iniziasse ad avere segni di cedimento e stesse per crollare, non vorreste leggere la relazione dell’ingegnere e correre subito ai ripari? 

Tutti gli ecosistemi, e le loro componenti, sono inestricabilmente legati uno all’altro da connessioni che spesso non riusciamo a percepire pienamente. È il famoso effetto farfalla descritto da Edward Lorenz.

EDWARD LORENZ

Metereologo, matematico e inventore che nel 1972 con la presentazione provocatoria dal titolo “Può il battito d’ali d’una farfalla in Brasile scatenare un tornado in Texas?” sottolineò come tutto è collegato in natura Fonte:Lorenz. Questo potrebbe far sì che la lotta alle zanzare fatta in Italia dal generale Badoglio durante la seconda guerra Mondiale sia legata alla caduta dei tetti di paglie delle popolazioni del Borneo dieci anni più tardi, oppure che l’introduzione di una ventina di coppie di soffici conigli in Australia abbia portato alla quasi estinzione di uccelli, marsupiali, foreste di eucalipto e desertificazione (volete sapere come? Sono altre storie…leggete qui).

Come facciamo quindi a mantenere la Natura in salute, dato che dalla sua sorte dipende anche la nostra?

La Natura è ovunque

Si sente continuamente mettere in dubbio  i cambiamenti climatici, ma se andiamo a guardare con la lente d’ingrandimento e a decifrare i segnali del nostro territorio, vedremo che tutto ciò è già in atto. L’atteso aumento relativo del livello del mare entro il 2100 cambierà radicalmente l’attuale morfologia della penisola, e un’area grande quanto la Liguria verrà inevitabilmente sommersa dall’acqua (Venezia e Otranto, dove oggi vivono migliaia di persone, non saranno più terre emerse, e questo nei prossimi 80 anni, la vita di un uomo).

Sia che viviamo nel centro della caotica Milano, o in cima alla vetta del massiccio del Gran Paradiso, non fa differenza: dipendiamo sempre dalla Natura. Nei territori ad alta naturalità, dove la nostra presenza ha creato delle alterazioni minori, come ad esempio succede all’interno di aree protette, gli ecosistemi sono ‘in salute’ e quindi riescono a supportare molto più di altri territori quei processi ecosistemici che forniscono servizi basilari per la nostra vita. Le foreste, se ‘funzionano’ correttamente, catturano il carbonio dall’atmosfera e lo fissano nei loro tessuti, e nel suolo, facendo quel lavoro di regolazione del ciclo del carbonio che permette all’atmosfera di avere la sua composizione stabile.

LO STOCCAGGIO DI CARBONIO

Lo stoccaggio di carbonio è importante perché permette di sequestrare parte dell’anidride carbonica (CO2) presente in eccesso in atmosfera e di trasferirla in altri comparti, come il suolo o la vegetazione dove risiederà con dei tempi di permanenza medio-lunghi. In questo modo si possono ridurre i livelli di CO2 atmosferici che causano il riscaldamento globale e ripristinare uno stato più idoneo alla vita sulla Terra.

Ma se da un lato abbiamo le foreste naturali, dall’altro abbiamo le città. L’ecosistema urbano (che è un vero e proprio ecosistema) è un ambiente fortemente alterato. Dove sono finite le estese paludi o la fitta foresta planiziale di querce abitata da cervi e linci che un tempo sorgeva al posto di piazza Duomo? Eppure le città hanno un punto di forza rispetto agli ecosistemi naturali: possono essere progettate. Attraverso la pianificazione urbanistica possiamo decidere come costruire le nostre aree cittadine, e possiamo anche scegliere di costruirle ottimizzando i servizi ecosistemici di cui abbiamo bisogno e supportare la biodiversità. 

Sia che viviamo nel centro della caotica Milano, o in cima alla vetta del massiccio del Gran Paradiso, non fa differenza: dipendiamo sempre dalla Natura.”

Oggi, infatti, le città non sono più solo il risultato di pratiche di cementificazione selvaggia e abusivismo edilizio come è tristemente avvenuto tra gli anni cinquanta e sessanta del Novecento e che hanno determinato enormi danni ambientali e malessere sociale. Le città costruite durante e dopo il boom economico avevano l’unico obiettivo di ammassare la popolazione in poco spazio, per aumentare la produzione e la crescita economica. La realtà urbana si contrapponeva fortemente al resto d’Italia, che era ancora rimasto a una dimensione rurale, di campagna. Inizialmente dalle campagne ci si muoveva in città per scampare la fame e a condizioni di vita misere, ma con il tempo, dopo qualche decennio di ‘vita in città’ le campagne e le aree agricole sono diventate quasi un ‘ideale’ di vita più a contatto con la natura, con ritmi lenti e maggior benessere. Ecco che allora è cambiata (e sta cambiando) la filosofia di vita urbana: le città non devono più essere luoghi di cemento e di ritmi frenetici, ma possono (e il ‘possono’ sta tutto a noi) essere luoghi ‘verdi’, sani, vivibili, trasformando il modo in cui le progettiamo e le gestiamo. La recente pandemia dovuta alla diffusione del virus COVID-19 che ci ha reclusi a vivere nelle città ha mostrato che proprio quegli spazi verdi urbani sono diventati (ancora prima che molte persone se ne accorgessero) i nuovi luoghi di incontro delle città, e stanno andando a sostituire i vecchi luoghi di interazione, le piazze, le nostre antiche agorà. 

Così le città possono diventare un Arcadia futura dove vorremmo vivere, un paesaggio ameno ed uno scenario di vita idillica?”

Così le città possono diventare un Arcadia futura dove vorremmo vivere, un paesaggio ameno ed uno scenario di vita idillica? Le politiche europee spingono fortemente in una direzione che vede le città del futuro integrate con la natura (città e natura sembra un ossimoro, eppure è così). Le città possono essere ad esempio progettate minimizzando l’impermeabilizzazione del suolo, mantenendo ovunque possibile un suolo vivo dove può crescere erba, permettendo, attraverso il verde che ospitano, di realizzare quegli scambi gassosi che depurano l’aria che respiriamo. Inoltre le città possono essere progettate per con un ecosistema tale da attenuare  l’effetto isola di calore, oppure per mantenere in salute i fiumi e le fasce fluviali, che a loro volta depurano le acque, mitigano le esondazioni, ricaricano le falde, e ospitano la vita di numerosissimi pesci, uccelli, insetti e mammiferi.      

In Italia le infrastrutture verdi urbane sono tra i protagonisti per la valorizzazione dei servizi ecosistemici e della biodiversità e molte città (Milano, Torino, Genova, Prato, Cervia…) stanno facendo programmazioni volte a trasformarsi in vere e proprie nuove città, fondate sulla conservazione e valorizzazione del capitale naturale. Ad esempio, Milano in accordo con la Commissione Europea ha adottato un piano a lungo termine sul clima. Tra le diverse iniziative c’è un progetto di forestazione urbana che prevede la messa a dimora di 3 milioni di alberi entro il 2030. Al contempo, nel nuovo Piano di Governo del Territorio è incentivata la decementificazione, ed è stata ridotta la nuova espansione urbana, restituendo numerose aree a zone verdi o agricole anziché di espansione edilizia. Questi sono solo alcuni esempi delle possibili strategie che possono essere messe in atto per tutelare la natura, ma il punto finale si collega a quello iniziale. La Natura ha un valore e un prezzo, e tale prezzo va tenuto in conto quando pensiamo alla nostra sopravvivenza. 

Quindi… avete capito quanto vale la Natura?

CLAUDIA CANEDOLI possiede una laurea magistrale in Scienze Naturali all’Università di Pavia dove ha svolto progetti di ricerca sull’ecologia e la fauna alpina. Attualmente ha un assegno di ricerca presso il Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Terra dell’Università Milano Bicocca e le sue ricerche riguardano principalmente l’ecologia degli ambienti alpini e la valutazione dei servizi ecosistemici.

EMILIO PADOA-SCHIOPPA è professore associato di Ecologia, presso il Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Terra dell’Università di Milano-Bicocca. Si occupa di ecologia del paesaggio, conservazione della biodiversità, analisi e valutazione dei servizi ecosistemici e didattica della biologia. Nelle sue ricerche cerca di far emergere, con dati quantitativi, la realtà dell’Antropocene. Attualmente è presidente di SIEP-IALE, Società Italiana di Ecologia del Paesaggio.

NOEMI ROTA è laureata in Scienze Ambientali all’Università Milano-Bicocca dove ha svolto progetti inerenti ai servizi ecosistemici in ambienti alpini e biodiversità del suolo. Attualmente è dottoranda all’Università di Milano Bicocca presso il dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Terra. Si occupa di servizi ecosistemici in ambienti alpini protetti e impatto delle strategie di gestione forestale.

NICOLO’ ETIOPIA, laureando in graphic design, la notte traccia cerchi magici sui tetti dei palazzi sperando di invocare soluzioni creative efficaci. Ha un debole per le storie tristi, il synth-pop e la malinconia nello sguardo di chi è soprappensiero. I suoi lavori fanno spesso riferimento ad una dimensione sospesa, eterea, dove regnano l’estetica giapponese e ambigui personaggi inquieti. Nei giorni non troppo nichilistici gli piace credere che esistano piccole analogie segrete tra le cose.