Rafiki, il capogruppo dei gorilla di montagna nel Parco nazionale impenetrabile di Bwindi in Uganda, è stato ucciso dai bracconieri. Si tratta dell’ennesimo episodio di violenza venatoria contro gli animali selvatici, ma il danno è più grande di quel che sembra: nei primati, la morte del capogruppo genera sempre instabilità sociale e perdita di deterrente verso le aggressioni dei gruppi rivali. E noi umani ne dovremmo sapere qualcosa, visto che la vita di intere società è stata stravolta dalla perdita delle persone al potere più di una volta nella storia.
Il 12 giugno del 2020 l’autorità per la fauna selvatica dell’Uganda ha annunciato che Rafiki, il capo di un gruppo di gorilla di montagna nel Parco nazionale impenetrabile di Bwindi, in Uganda, era stato ucciso da quattro bracconieri. Fonte:NatGeo L’ultima volta in cui un gorilla era morto per mano d’uomo risaliva al 2011 e questa triste notizia ha rappresentato un salto indietro notevole rispetto agli sforzi di conservazione fatti fino a oggi, grazie ai quali il rischio di estinzione di questa sottospecie è passato da critico a medio.
Il gruppo di Rafiki era solito avventurarsi fuori dai confini del parco per trovare cibo ed era abituato alle interazioni con i turisti durante i safari, che sono una parte essenziale dell’economia locale. Infatti, la strategia dei conservazionisti è risultata vincente proprio grazie all’accoppiamento tra la tutela della specie e l’apporto economico dell’ecoturismo, senza cui l’esclusione di grandi estensioni territoriali dalle attività umane non sarebbe stata sostenibile per la popolazione, vista la sua condizione di povertà e mancanza di risorse. La morte di Rafiki è, quindi, il simbolo di una doppia fragilità: quella di una specie minacciata e quella degli equilibri economici nei Paesi in via di sviluppo, in cui intere comunità dipendono dal turismo occidentale per non ritornare all’agricoltura e alla caccia – anche di frodo – per la sussistenza.
Ma perché la storia di Rafiki è diversa da quella di una tartaruga marina uccisa da una lenza legata all’amo da pesca che le si è conficcato nel palato? Il motivo è semplice: con la scomparsa di una tartaruga l’intera popolazione di quella specie perde un solo elemento, mentre con la morte di Rafiki il rischio che il suo gruppo sia decimato è molto alto. È il prezzo che si paga a essere animali sociali, per cui il gruppo è essenziale alla sopravvivenza. Fonte:NatGeo Infatti, Rafiki era un maschio dominante di 25 anni alla guida di un gruppo di 17 gorilla dal 2008: un po’ l’equivalente di un sindaco in una piccola città.
Rafiki era un gorilla di montagna, e più precisamente un Gorilla beringei beringei, una delle due sottospecie di gorilla orientale, il Primate più grande del mondo (il maschio adulto arriva a pesare fino a 200 kg). Pur essendo un animale imponente e territoriale, conduce una vita prevalentemente pacifica e usa la sua stazza, oltre alle dimostrazioni di ostilità come battersi il petto – sì, sono proprio loro, la famiglia adottiva di Tarzan – per intimidire i rivali o gli intrusi, evitando da principio lo scontro. Sono erbivori voraci (possono arrivare a mangiare fino a un quinto del loro peso in vegetali al giorno), ma ogni tanto si concedono qualche spuntino proteico a base di insetti e molluschi. Il loro habitat è la foresta pluviale montana e subalpina, un ambiente gravemente intaccato dalle attività umane e sotto costante rischio di riduzione. Proprio a causa della scarsa estensione del suo habitat in rapporto all’areale necessario a ciascun gruppo per sopravvivere, questa sottospecie non supera i 1000 esemplari, divisi in due popolazioni isolate: una nella regione dei Monti Virunga, 440 km² al confine tra Uganda, Rwanda e Repubblica Democratica del Congo, e l’altra in 330 km² nel Parco nazionale impenetrabile di Bwindi, nell’Uganda sud-occidentale. Gli sforzi di studio e conservazione iniziati da Dian Fossey dagli anni Sessanta, nonostante il suo assassinio per la sua “posizione scomoda” in una regione di crescente interesse turistico, hanno portato a classificare i gorilla di montagna come non più criticamente a rischio di estinzione nel 2018. Ma la strada da percorrere è ancora lunga per cancellare le ferite che la povertà e la guerra hanno inflitto a questa terra e ai suoi abitanti, anche non umani.
I gorilla dominanti (silverback) come Rafiki determinano la stabilità e la coesione del gruppo: la loro dominanza – noi diremmo leadership – indiscussa permette a tutti gli altri membri di non essere costantemente in conflitto per risolvere le rivalità, poiché in caso di diatribe c’è sempre un’autorità maggiore che interviene per mantenere l’ordine. Inoltre, il silverback protegge i membri del proprio gruppo – che è la sua famiglia – dalla minaccia degli altri capigruppo e difende, anche aggressivamente, il proprio territorio e le risorse in esso contenute. Fonte:NatGeo
Quando un leader muore, è possibile sia che venga sostituito da un altro silverback, magari più aggressivo del precedente, sia che i membri si disperdano in altri gruppi. La ragione di ciò risiede nelle dinamiche sociali tipiche dei primati: ogni relazione implica la dominanza di un individuo sull’altro oppure, qualora non vi sia un subordinato, una tensione costante causata dal conflitto che scaturisce dal contendersi gli stessi obiettivi. Quindi, quando un gruppo perde l’individuo dominante, al suo interno si riaccendono i conflitti rimasti silenti tra gli altri membri e, se il leader successivo non è abbastanza veloce e risoluto ad acquisire il grado di autorità indiscussa, il nucleo si scioglie sotto la pressione della competizione. Il problema è che le dimensioni ottimali per un gruppo di cui sia conveniente far parte potrebbero essere maggiori di quelle dei sottonuclei rimasti, che verrebbero dunque inglobati in altri gruppi, con silverback estranei che spesso uccidono i cuccioli più giovani per “ripulire” la discendenza. Fonte:Chapais
Gli studi sull’organizzazione sociale dei primati non umani ci aprono gli occhi su come sia importante considerare anche le esigenze relazionali delle specie a rischio per mettere in pratica delle politiche di conservazione efficaci: come per rendere felice un animale domestico non basta nutrirlo e dargli un posto dove stare, così non basta dichiarare un’area parco naturale e recintarla per permettere a una specie di proliferare indisturbata.
A ben guardare, tutto ciò è cosa nota da molto tempo, grazie all’esperienza “autobiografica” dell’umanità. Infatti, la stabilità sociale ed economica è sempre stata alla base della prosperità delle civiltà del passato e, sebbene l’opinione comune sia che la storia dell’uomo è determinata da un gioco di volontà contrapposte e dal caso, c’è almeno un altro fattore fondamentale: siamo primati con leggi non scritte su dominanza, potere e organizzazione sociale. Quando la stabilità viene a mancare, o si fa la rivoluzione o si va incontro alla crisi, e a causa di essa intere società possono collassare. Fonte:Maestripieri
Qualche esempio? Partiamo da quello classico: la guerra di Troia, narrata nell’Iliade, si conclude – spoiler alert – con la strage della dinastia regnante. Ciò porta alla fine dell’egemonia economica della città di Troia sul Mediterraneo orientale e alla nascita della civiltà greca classica, basata su un tessuto economico e culturale di città stato. Fonte:Encyclopedia Britannica Il passaggio di potere da un gruppo a un altro in un’area geografica è un fatto importante per la storia delle popolazioni umane su scala temporale breve, ma l’eredità culturale di un gruppo può anche influenzare il corso della storia dell’intera specie.
Infatti, persino la fondazione di Roma, se vogliamo dirla com’è riportato nell’Eneide, dipende dal viaggio di Enea verso l’Italia al termine della guerra. Fonte:Caliò Mica cosa da poco, quindi: le basi della cultura occidentale sono la conseguenza più o meno diretta della morte di Ettore e del suo erede Astianatte. L’altra metà della dinastia, Cassandra, Andromaca ed Ecuba diventano schiave (anche sessuali) dei Greci, ma non prima che i vincitori abbiano ucciso tutti i loro figli – non molto diversamente da quanto accade tra i gorilla.
Passando a un caso moderno, il problema può anche essere solamente la mancanza di eredi, come per la regina Elisabetta I d’Inghilterra. Non si volle mai sposare, nonostante avesse avuto una lunga relazione con Robert Dudley, conte di Leicester. Diverse ipotesi sono state fatte sulle motivazioni di questa scelta, tra cui la volontà di Elisabetta di non sottomettere in alcun modo il proprio potere a quello di un uomo (non scordiamoci che Enrico VIII, suo padre, aveva mandato a morte due mogli con l’accusa di adulterio) e l’assenza di un erede reale in Europa con il cui matrimonio rinsaldare alleanze senza mettere in pericolo l’indipendenza della Corona d’Inghilterra. Fonte:Morrill La morte senza eredi di Queen Elizabeth lascia il trono agli Stuart, il casato regnante di Scozia, nella persona di Giacomo VI. Si tratta del figlio di Mary Stuart, cugina di Elisabetta, da lei condannata a morte per aver rivendicato il trono d’Inghilterra e per essere stata la candidata sovrana dell’ala cattolica, ostile alla dinastia dei Tudor, poiché Enrico VIII aveva fondato la Chiesa Anglicana per rendere la Corona politicamente indipendente dalla Chiesa di Roma.
Giacomo non segue la politica pro-cattolica della madre, ma adotta un’efficace strategia di mediazione tra fazioni che garantisce al regno una ventina d’anni senza scontri. Fonte:Briggs La crisi economica e le tensioni politico-religiose, causate anche dai legami politici del casato con la Cattolicissima Spagna, portano a un progressivo deterioramento del rapporto tra la Corona e il Parlamento che sfocia nelle Guerre civili britanniche, dal 1629 al 1651. Durante questo periodo di disordine politico, l’Occidente vede la nascita del primo parlamento rivoluzionario della storia moderna, il Commonwealth of England, guidato da Oliver Cromwell Fonte:Ohlmeyer: sebbene durato solo dal 1649 al 1660 e degenerato in fretta in un regime dispotico, si tratta del primo esperimento di repubblica in uno stato esteso e potente come quello britannico, molto più complesso di un’antica città stato o di una repubblica marinara medievale.
Infine, last but not least, l’assassinio a Sarajevo dell’Arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo il 28 giugno 1914 è il pretesto scatenante per la Prima guerra mondiale. Francesco Ferdinando è l’erede al trono austro-ungarico e Gavrilo Princip lo uccide con la complicità di un gruppo terroristico ultranazionalista che mira all’autonomia della Bosnia dall’oppressione austriaca, per diventare parte integrante del Regno di Serbia. A seguito dell’attentato, l’Austria-Ungheria lancia un ultimatum alla Serbia in quanto corresponsabile del crimine e il 28 luglio le dichiara guerra. La catena delle alleanze preesistenti in Europa fa precipitare la situazione: progressivamente si compattano i due schieramenti, Austria-Ungheria, Germania e Impero ottomano contro Francia, Gran Bretagna, Russia, Giappone, Stati Uniti e Italia.
La guerra del ‘14-18 ha avuto una serie di conseguenze difficili da elencare in breve: nascono gli stati di Polonia, Cecoslovacchia, Jugoslavia, Finlandia, Lituania, Lettonia, Estonia, Albania; vengono usati per la prima volta in guerra il carro armato, l’aeroplano, il sottomarino, i gas asfissianti; la leva di massa crea una mobilitazione totale della società per la guerra senza precedenti e, per i governi, il problema del “fronte interno”; in Russia le vicende belliche si sono fuse con le spinte rivoluzionarie popolari dando luogo alla Rivoluzione d’ottobre e alla genesi del primo stato marxista; il malcontento per la crisi economica causata dalla guerra alimenta i movimenti di rivendicazione operaia e femminile, ma anche l’esplosione dei movimenti illiberali che porteranno alla formazione dei regimi totalitari. Il bilancio umano consiste in circa 8 milioni di morti e 20 milioni di feriti. Nonostante sia probabile che le tensioni europee sarebbero comunque scoppiate in un conflitto su ampia scala anche senza l’attentato di Sarajevo, quale sarebbe stato un pretesto alternativo sufficiente a giustificare una simile reazione a catena?
Cosa sarebbe successo nella storia occidentale se Astianatte non fosse stato gettato giù dalle mura di Troia? E se la regina della Golden Age avesse ceduto all’amore per il suo cavaliere preferito e lo avesse elevato di rango per sposarlo e darle un erede? La Révolution française sarebbe stata come la conosciamo oppure no? E il nostro Novecento, come sarebbe stato se Francesco Ferdinando fosse morto di vecchiaia? Nessuno lo saprà mai, ma una cosa è certa: quando l’individuo dominante muore, nelle società dei primati tutto cambia e le sorti della specie non sono altro che il risultato della capacità di reazione delle popolazioni ai traumi che subiscono.
Cosa succederà alla famiglia di Rafiki dopo la sua morte? Nella speranza che i gorilla di montagna si rivelino, almeno questa volta, più tolleranti dei Greci vittoriosi a Troia, ora sappiamo di avere un compito: impegnamoci non solo a lasciar sopravvivere i nostri vicini di ecosistema, ma anche a garantire loro le condizioni per poter vivere serenamente in una società stabile e fiorente.