I videogame fanno male? Lo dicevano anche del rock-n-roll.
– Shigeru Miyamoto (1952), ideatore di Super Mario e direttore creativo della Nintendo
Federica Pallavicini, occhi blu e capelli biondi lisci, mi sorride da dietro lo schermo del mio computer. Borsista di studio per attività di ricerca post-dottorato presso il Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, studia da dieci anni la psicologia della realtà virtuale e nuovi metodi per unire realtà virtuale e gaming alla cura delle malattie mentali. Ci siamo incontrate più volte nel nostro percorso, e quando decisi di scrivere di videogiochi e salute mentale sapevo che avrei avuto bisogno di lei per capire questo mondo. Io non ne so niente di videogiochi. Anzi, sono addirittura ostile all’idea. Da Tetris a Super Mario passando per tutte e cinque le saghe di Street Fighter, mi hanno sempre annoiato. Anche il caramelloso nonché sonoricamente intossicante Bubble Bobble, dove devi sparare delle biglie lucide contro altre biglie lucide per continuare a sparare biglie lucide, non faceva per me. Eppure questo mondo che guardo con malcelata snobberia (Videogiochi? Che cafonata…) contiene in sé molte più raffinatezze concettuali di quelle che i detrattori come me vogliono concedergli.
La gente gioca ai videogames per divertimento, ma il divertimento, secondo questo studio pubblicato nel 2014, è in qualche modo il prodotto secondario della sensazione di benessere che si prova quando si è immersi in una realtà alternativa con la quale possiamo interagire, nella quale possiamo scegliere chi o cosa essere, e per la quale non vigono gli stessi codici morali vigenti nella “vita vera”. I videogames ci permettono di essere la versione migliore di noi stessi (provando ad essere, per esempio, più coraggiosi o più generosi) o di avvicinarci idealmente a quello che vorremmo essere. Ci permettono di liberarci da un mondo di restrizioni e semplicemente di “esistere”, e funziona proprio perché ciò che cerchiamo nella vita è proprio quello, quella soddisfazione appagante di esistere appieno.
Vista la capacità di coinvolgere emotivamente il giocatore, spesso i videogiochi vengono usati nel settore sanitario. Una app per diabetici chiamata MySugr’, per esempio, aiuta i diabetici a tenere a bada i livelli di glucosio attraverso un gioco nel quale il diabete è un tamagotchi-mostro che può essere sconfitto grazie a dosi di insulina. A livello ancora più immersivo, alcuni videogiochi vengono creati per coadiuvare gli stati di depressione ed ansia negli adulti, o per coinvolgere i pazienti in programmi di riabilitazione che hanno poco successo quando fatti faccia-a-faccia. Il P2P (Play2Prevent) Lab del Yale Center for Health & Learning Games da dieci anni mette a punto videogiochi apposta per i giovani per aiutare a farli smettere di fumare, o per contrastare la diffusione delle malattie a trasmissione sessuale.
Più immersivo è il gioco, più intensa è l’esperienza, e la realtà virtuale permette ai videogames di accedere a un livello ancora più “reale” e coinvolgente. “Sia videogiochi che realtà virtuale sono molto utili per quanto riguarda il rilassamento e la gestione della stress” mi spiega Federica. “Con un videogioco come PacMan, semplice da imparare, riesco a distrarre la persona, la faccio focalizzare su un altro stimolo che non è il dolore, e in più genera felicità”. Vincere una partita, superare un ostacolo, migliorare le proprie abilità sono sensazioni positive che danno una scarica di endorfina al cervello, e vivere questo tipo di emozioni scatena una risposta di benessere non solo dal punto di vista mentale, ma anche biologico. Un po’ come fare una camminata in montagna, o andare un giorno al mare. Non a caso infatti molte esperienze in VR (Virtual Reality) sono ambientate nella natura. “Il giardino segreto” continua Federica “è un buon esempio di contenuto immersivo che punta a far rilassare la persona. La simulazione è ambientata in un giardino zen, e al suo interno c’è una narrativa di mindfulness, altra tecnica psicologica efficace e molto studiata per il rilassamento”.
Esattamente come un videogame ci può far sentire più abili o più coraggiosi, così la realtà virtuale può metterci nei panni di un altro, per vedere la vita -e le nostre scelte- da un’altra prospettiva. “Quest’anno” spiega Federica “ho visto tanti lavori sul razzismo. Sono state create esperienze immersive per spiegare dal punto di vista della minoranza la storia dei fenomeni legati al razzismo, ed è completamente diverso rispetto a vedere un video o leggere un libro su quell’argomento”. Ci sono anche simulazioni sulla demenza, per capire cosa prova una persona affetta da disturbi cognitivi, sulla questione ambientale e il sessismo. Non a caso la realtà virtuale è definita anche la macchina dell’empatia.
Da brava moralista non potevo esimermi dal farle la domanda da boomer: “Ma non è rischioso per i bambini?”. “Sotto i 12 anni la realtà virtuale non andrebbe utilizzata” spiega Federica “perché i bambini hanno una percezione della realtà molto diversa da quella dell’adulto. Si rischia di fargli vivere un’esperienza che farebbero fatica a distinguere dal mondo reale. Molto meglio su un bambino un videogioco non immersivo, con dei titoli creati appositamente per le fasce d’età più piccole”.
Forse non cambierò mai idea sui videogiochi, continueranno ad annoiarmi e continuerò a preferire qualcos’altro per distrarmi o sentirmi appagata. Ma se un giorno non potessi più andare in spiaggia, o fare sport, o fare tutte quelle cose che mantengono il mio spirito appagato e la mia mente allineata, non vorrei avere un’altra possibilità di ricreare quel senso di soddisfazione interiore? “Ci tengo molto a ribadire” conclude Federica “che spesso si ragiona da persone privilegiate, che possono muoversi e decidere liberamente cosa fare. Questo non vale per tutti. C’è chi non ha la possibilità di farlo a causa di limitazioni fisiche o mentali. La realtà virtuale così come i videogiochi offrono opportunità che altrimenti a tante persone sarebbero precluse”. Quello che chiediamo, in fondo, è solo di esistere appieno.
Federica Pallavicini è a capo del progetto di virtual reality a scopi terapuetici MIND-VR, incentrato sull’aiutare il personale medico a fronteggiare i momenti di intenso stress dovuti al COVID-19. L’idea rientra all’interno del programma Ready Patient One, ideato con l’obiettivo di offrire supporto psicologico all’interno degli ospedali.
Free Dive | Creato per bambini con malattie croniche, Free Dive è un videogame in realtà virtuale nel quale i bambini possono esplorare il fondale marino, cercare tesori e incontrare pesci tropicali.
Mango Health | La app medica che ti aiuta a prendere le medicine e prenderti cura di te (ti ricorda anche di bere e di prendere i tuoi sonniferi…forse un po’ troppo americana per il palato italiano).
Deep VR | Incredibile virtual reality game per controllare l’ansia e lo stress. Deep VR è impostato come una esplorazione del fondale marino nella quale il ritmo dei colori e delle immagini immersive cambia con con il respiro del giocatore. Qua c’è il trailer se volete provare.
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