MONNALISA BYTES

Science Storytelling

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Gaza: l’eredità di una guerra spaziale

Testi Emma Gatti
Immagini Chiara Sangalli Davide Medici
Dal GPS ai razzi a propulsione, da sempre l’esplorazione spaziale è sinonimo di strategia militare. Gli ultimi sviluppi della guerra Israelo-Palestinese sono qui a ricordarcelo.

“L’umanità deve mettere fine alla guerra, o la guerra metterà fine all’umanità.” 
John F. Kennedy (1917-1963), politico americano e 35° presidente degli Stati Uniti dal 1961 fino al suo assassinio

Il 12 maggio 2021 Hamas ha lanciato 130 missili a lungo raggio verso Tel Aviv, circa il 17% di tutto l’arsenale sparato fino a quel momento. Nel 2014 i missili a media-lunga gittata erano circa l’8% del totale, e nel 2012 solo l’1%. Oltre a questi numeri, l’intelligence Israeliana ha stimato che Hamas, la jihad islamica e altri gruppi militanti palestinesi potrebbero avere circa 30,000 razzi nascosti a Gaza. Israele ha risposto con bombardamenti e raid di artiglieria per distruggere i siti di lancio e di produzione. 

Mentre la maggior parte del loro arsenale ha un range breve, circa 10 km, e appartiene a missili a basso costo senza alcun controllo (alcuni cadono dentro Gaza), l’arsenale a medio raggio è basato su design iraniani e russi e può arrivare fino a 30 km di distanza. I missili a lungo raggio potrebbero arrivare fino all’aeroporto di Ben-Gurion, a 70 km di distanza da Gaza. Questi includono gli M-75 e gli J-80, entrambi assemblati a Gaza grazie alla tecnologia messa a disposizione dall’Iran (nota: Israele ha un sistema di difesa antimissilistico chiamato Iron Dome, ma un numero elevato di attacchi si tradurrebbe in alcuni missili capaci di colpire a terra).

Conseguenze a lunga gittata

C’è un filo rosso che parte da Newton, cresce in un laboratorio del Caltech, passa per le sale di Google, finisce nelle intercettazioni della CIA, va sulla Luna, torna a terra, si attorciglia a Washington, fa un salto dalle Nazioni Unite, riemerge in Russia, in Cecenia, in Kosovo, va fino a Pechino, per poi rispuntare in un sottoscala nel Medio Oriente. Questo filo rosso è il razzo, un oggetto insolito costruito dal desiderio dell’umanità di andare più in alto, viaggiare più veloce, rompere più forte, uccidere più efficientemente. In qualche modo il razzo è dietro a molte glorie e massacri del nostro secolo. 

Il primo razzo (piccola nota di folklore: Wikipedia dice che la parola razzo, anche nella sua versione inglese “rocket”, proviene dall’Italiano “rocchetta” – non l’acqua diuretica, credo) fu inventato in Cina come sistema di propulsione per spingere delle frecce. Da lì passò per la Battaglia di Chioggia nel 1310, per Istanbul nel 1633, per poi diffondersi in tutta Europa dal 1600 in avanti. 

Nel 1912, un fisico statunitense chiamato Robert Goddard iniziò a studiare seriamente i razzi, riprogettandone le camere di combustione, ridisegnandone il design, e aumentandone l’efficienza cambiando l’ugello di alimentazione del carburante. In quegli anni, Goddard, un uomo timido e non particolarmente amato da colleghi e stampa, stava ponendo le basi per la moderna missilistica, nonché per l’esplorazione spaziale che sarebbe venuta dopo di lui (non per nulla il NASA Goddard Space Centre è dedicato a lui). La missilistica moderna nacque quando Goddard attaccò un ugello supersonico alla camera di combustione di un motore alimentato a propellente liquido. L’ugello trasformava il gas caldo proveniente dalla camera di combustione in un getto freddo di gas altamente direzionato che viaggiava a velocità ipersonica, permettendo così di aumentare l’efficienza del motore dal 2% al 64%. Oltre all’invenzione dei razzi a propellente liquido, Goddard inventò anche un metodo di controllo della navigazione composto da un giroscopio e un controllo della spinta, che permetteva di controllare meglio il volo. 

Anche la Germania, dopo la prima guerra mondiale, iniziò a sperimentare con i razzi. Le restrizioni di artiglieria imposte dal trattato di Versailles non le permettevano di accedere ad armamenti a lunga gittata, quindi fece quello che l’Iran avrebbe fatto sessant’anni dopo: iniziò a sponsorizzare una società di ricerca spaziale fondata un decennio prima, la Verein für Raumschiffahrt (detta anche VfR). Da questa fucina di ricercatori emerse un giovane scienziato appassionato di razzi, Wernher von Braun, che non è un personaggio minore nella divina tragedia umana, essendo colui che sviluppò i razzi usati dai Nazisti nella Seconda Guerra Mondiale. In un plot twist à le Carrè, a guerra finita von Braun si ritrovò dall’altra parte della barricata, grazie a una controversa operazione segreta chiamata Paperclip, il cui obiettivo era estradare scienziati nazisti che avevano fatto particolarmente danno durante la guerra e farli lavorare per gli scopi bellici statunitensi con la promessa di immunità diplomatica. Così von Braun si ritrovò nel giro di una notte da Nazista a Yankee, e trasformò il tedesco e letale V-2, un razzo usato dalla Germania per bombardare il Belgio, la Francia e l’Inghilterra, in quello che sarebbe diventato il Redstone Rocket, uno dei primi prototipi di razzi usati per l’esplorazione spaziale. 

(Questa non è la storia di von Braun, ma per chiunque fosse interessato al suo ruolo all’interno del Terzo Reich e la sua “riabilitazione Americana”, qui c’è un libro che ne racconta la storia])

La versione Juno 1 del Redstone fu quella che lanciò Explorer 1, il primo satellite statunitense nel 1958, e la variante Mercury-Redstone quella che portò i primi due astronauti USA nello spazio nel 1961. Dall’altro lato della cortina di ferro, la Russia inviò il primo satellite nello spazio (Sputnik-1) nel 1957. La capacità di lanciare il satellite venne direttamente dall’arsenale sovietico di missili balistici intercontinentali (ICBM), ovvero missili con una portata minima di 5.500 chilometri, progettati per il lancio di armi nucleari tra un continente e l’altro. E così, dalla corsa agli armamenti nucleari tra Russia e USA dopo la seconda guerra mondiale, nacque la Corsa per lo Spazio, che portò a lanci pionieristici di satelliti artificiali, sonde spaziali sulla Luna, Venere e Marte, fino all’atterraggio del primo essere umano sulla Luna nel 1969. 

Alla conclusione della guerra fredda, e dopo la rivoluzione iraniana del 1979, il cambio di equilibri geopolitici nel Medio Oriente portò a un matrimonio inaspettato, quello tra Teheran e Mosca. La coalizione fu basata sulla tecnologia e cooperazione nell’area di missili, satelliti e tecnologie nucleari, vista da entrambe le nazioni come metodi per acquisire potere e influenza. Dai primi anni 2000 la Russia è diventata la più grande fan dello sviluppo tecnologico dell’Iran, supportando non solo operazioni nucleari, ma anche lanci di satelliti e aiutando nella creazione del Shahab-3, una famiglia di razzi a lunga gittata. Da questo punto in poi della Storia, recuperare il filo rosso che era partito un secolo prima dagli studi di Robert Goddard non è difficile. Lo ritroviamo oggi in Iran e tra le macerie di Gaza, coscienti che il problema non è mai la tecnologia, bensì come la si usa.


Over The Pop

Mona Chalabi | Mona Chalabi è una nota illustratrice del Guardian e attivista Palestinese. Qui vi abbiamo messo il link alla sua rappresentazione grafica della demolizione di edifici Palestinesi negli ultimi dieci anni ad opera delle autorità Israeliane. 

Conflict in Israel and Palestine: Crash Course World History 223 | Crash Course è una iniziativa di YouTube di video educativi di alta qualità creata dai fratelli Green. In questo video del 2015 cercano di spiegare le basi del conflitto. 

New York Times | The Israeli- Palestinian Crisis, Reignited | il Daily è un podcast del New York Times che tratta di tutto, dalle crisi d’amore a quelle di borsa. Questo episodio contiene una intervista a Isabel Kershner, la loro corrispondente da Gerusalemme, che spiega che cosa ha scatenato questa nuova onda di rappresaglia.


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EMMA GATTI è una scienziata con una laurea in geologia presso l’Università degli Studi di Milano – Bicocca, un dottorato in geochimica presso l’Università di Cambridge, e sei anni di esperienza da ricercatrice presso il NASA Jet Propulsion Laboratory e il California Institute of Technology di Pasadena. Dopo 12 anni all’estero è tornata a Milano e ha co-fondato Monnalisa Bytes, di cui è anche scrittrice e science editor. Le piacciono i fumetti, i gatti neri e i messaggi vocali.

CHIARA SANGALLI è un’art director che ama l’armonia cromatica e l’ordine estetico. Il suo obiettivo è quello di creare nel magico universo dei matrimoni come wedding designer. Grande sognatrice, instancabile curiosa, desidera girare il mondo.

DAVIDE MEDICI è un giovane graphic designer e imprenditore nel campo della ristorazione, con il sogno di poter aprire presto una sua agenzia di comunicazione. Appassionato di sport e ogni forma d’arte, ama trovare soluzioni innovative ai problemi e aiutare chi si trova in difficoltà. Vive ogni giorno come se fosse l’ultimo, dando sempre il massimo.