MONNALISA BYTES

Science Storytelling

Blue Economy
13′ 52″
Arancia Meccanica

Sostenibilità delle risorse marine: l’arrivo della Blue Economy

Testi Annamaria Albanese
Immagini Elisa Ripamonti
Il pesce che mangiamo è sostenibile?

Estate 2021, Calabria. Girovagando tra gli antichi borghi come Scilla, Chianalea e Bagnara, si trovano esposti fuori dai ristoranti cartelli con scritto “Panino con il pesce spada”. Un’attrazione turistica come tante. Questo perché il panino con il pesce spada, Xiphias gladius è frutto della tradizionale pesca con le imbarcazioni chiamate “Feluche” ed ha origini molto antiche. A partire dal 1000 d.C., la “caccia” del pesce spada con l’arpione è una delle forme a più basso impatto ambientale per la pesca di questo esemplare nel Mediterraneo. Con qualche modifica rispetto ai “luntri” degli anni ’70, così venivano chiamati i mezzi a remi che solcavano lo Stretto di Messina alla ricerca del pesce spada, la moderna feluca è un mezzo nautico di 12-17 metri, attualmente utilizzato solo nel tratto di mare tra Calabria e Sicilia e lungo la Costa Viola, nelle aree marine tra Ganzirri (ME) e Scilla (RC). La feluca è costituita da una tipica passerella di circa 30 metri che si estende a partire dalla prua e un albero di circa 25 metri. Sulla passerella il “lanciatore” ha il compito di arpionare un solo pesce spada alla volta, che cattura per sfinimento. L’“avvistatore”, un altro pescatore che staziona sull’albero della feluca, per tutta la battuta di pesca rimane vigile, pronto ad avvisare il resto dell’equipaggio dell’avvistamento di una coppia di pesce spada, i quali si spostano in superficie durante il periodo riproduttivo incuranti del pericolo della pesca. Fonte:Romeo Come tutti i sistemi di pesca, la caccia al pesce spada con le feluche, sebbene sostenibile, non è esente dalla sofferenza dell’animale, e in questo caso comporta l’interruzione del ciclo riproduttivo. Ciononostante, rimane uno dei metodi più sostenibili e rispettosi dell’oceano, come in generale può essere descritta la piccola pesca.

C’è una profonda differenza tra la piccola pesca e la pesca intensiva. La piccola pesca è una denominazione data a quelle attività che prevedono piccole flotte a conduzione familiare con navi al di sotto dei 12 m, fino a massimo 4 membri, che utilizzano sistemi di pesca selettiva a basso impatto ambientale come attrezzi da posta, ferrettare, palangari, lenze e arpioni, e sempre all’interno delle 12 miglia dalla costa. Fonte:DM Il palangaro usato per i grandi pelagici è costituito da lunghe e spesse lenze, per legge massimo 30 miglia nautiche, da cui si diramano perpendicolarmente piccole lenze, chiamate braccioli, con un amo terminale di almeno 7 cm, per un totale massimo consentito di 2.500 ami, che rimangono alla deriva. Usato dalla piccola pesca artigianale, è considerato selettivo in quanto le dimensioni, la forma dell’amo e il tipo di esca sono scelte per specifiche prede e per ridurre la probabilità di catture accidentali Fonte:Gilman, che comunque sia si verificano frequentemente. Un altro sistema a ridotto impatto ambientale sono le nasse: antichi attrezzi di diverse dimensioni costituiti da una rete che storicamente era di giunco (oggigiorno sostituito con materiali come il metallo, o addirittura biodegradabili), a forma di imbuto in cui le prede entrano e non riescono ad uscire.

Acciuga

Eppure, se si utilizzassero soltanto le tecniche di pesca tradizionali non staremmo qui a narrare la storia del declino della popolazione ittica. La piccola pesca con strumenti sostenibili rappresenta l’83% della flotta che solca i mari Mediterraneo e il Mar Nero e offre il 57% di posti di lavoro nel settore della pesca, ma solo il 15% delle catture. Fonte:FAO La maggior parte del pesce presente in commercio, quindi, deriva da altri sistemi. Né il palangaro né le nasse, infatti, posso competere con tecniche della pesca intensiva, pensata per catturare la più alta quantità di pesce e non per tutelare l’ambiente e gli animali. Uno dei sistemi di pesca che provoca più danni è la rete a circuizione, utilizzata per racchiudere banchi di pesce azzurro (sardine, acciughe, o sgombri). Il problema qui è che le reti vengono calate per un certo periodo di tempo, e specie che necessitano dell’aria per respirare (come tartarughe e mammiferi marini), rimanendo impigliate accidentalmente nelle reti, annegano. Le catture accidentali investono anche le taglie non destinate al commercio. In Sicilia, nel golfo di Patti, tra luglio e settembre con il “cianciolo da lampara”, un tipo di pesca notturna in cui si utilizzavano le reti a circuizione e delle fonti luminose artificiali per attirare i banchi dei piccoli pelagici, succedeva che oltre alle acciughe catturavano giovani tonni della specie Thunnus thynnus (tonno rosso), che per istinto gregario si univano ai banchi di acciughe. Questo causava gravi ripercussioni alla popolazione dei tonni, che solitamente hanno un ciclo di vita superiore ai 20 anni. Fonte:Bombace

Tonno

Un altro sistema altamente distruttivo è la pesca a strascico Fonte:CE, un tipo di pesca da traino.Una rete a forma di conoviene trascinata sul fondo per catturare le specie che vivono sui fondali, sia demersali che bentoniche. La dimensione maggiore la rende molto più efficace rispetto alle nasse.

Nasello
Pagello Frangolino
Scorfano Rosso

Con questa rete vengono catturate specie come nasello (Merluccius merluccius), pagello fragolino (Pagellus erythrinus), triglia di fango (Mullus barbatus) scorfano rosso (Scorpaena scrofa), seppia (Sepia officinalis), polpo (Octopus vulgaris), gattuccio boccanera (Galeus melastomus) gambero rosa (Parapenaeus longirostris), ma anche accidentalmente tartarughe e delfini, squali e razze, specie soggette al fermo di pesca e taglie giovanili.

Gattuccio Boccanera

Le specie tutelate vengono rigettate in mare, comportando spreco di tempo e denaro per gli armatori, nonché la morte degli animali e la distruzione dell’habitat, creando quindi un sistema di spreco circolare di cui non beneficia nessuno. Si stima che ogni anno siano più di 230.000 tonnellate di catture accidentali nel Mediterraneo, tra cui 132.000 tartarughe marine. Fonte:FAO Fonte:Pulcinella

Polpo
Gambero Rosso

Per una ulteriore comprensione dell’impatto sugli stock delle reti da traino e da circuizione basterebbe analizzare le catture con i diversi sistemi: da un’analisi condotta tra il 2007 e il 2015, rispetto alle catture con reti a circuizione e reti da traino, la piccola pesca era responsabile di circa l’1% della cattura di piccoli pelagici (sardine e acciughe), di meno dell’1% della cattura del gambero viola, del gambero rosso e gambero rosa, e di circa il 5% di quelle di scampo. Per essere onesti, la pressione della pesca artigianale sulle triglie e i naselli era significativa (23 e 17% rispettivamente), ma sempre minore rispetto ai sistemi di pesca con reti a strascico costiero. Fonte:Cardinale

Gli effetti collaterali del bycatch sono visibili quando si analizzano le specie non autoctone e invasive (circa 800 specie aliene nel Mediterraneo, di cui 500 solo provenienti dal Canale di Suez). Le specie vengono introdotte in nuovi ambienti lontani dal luogo di origine a seguito di diverse attività marittime. Alcune specie aliene tendono ad essere invasive e possono diventare una seria minaccia per le attività commerciali e per l’ecosistema, soprattutto in assenza di competitori e predatori. Per fare un esempio, una delle specie aliene con comportamento invasivo nel Mediterraneo è il granchio corridore Percnon gibbesi, che ha come predatore il ghiozzo paganello Gobius paganellus, che è però una delle vittime del bycatch. Fonte:Tiralongo

Infine, l’effetto più scontato della pesca intensiva è l’overfishing, ovvero la sovra-pesca. La triglia (Mullus barbatus), il nasello europeo (Merluccius merluccius), le acciughe (Engraulis encrasicolus), la sogliola (Solea solea), il gambero rosso gigante (Aristaeomorpha foliacea), il tonno rosso (Thunnus thynnus), il pesce spada e lo squalo sono alcune specie che fanno parte di questa categoria. Lo sfruttamento delle risorse ittiche è ben documentato dalla FAO, in cui emerge che dal 1990 al 2017 la percentuale di stock pescati a livello globale entro livelli sostenibili è diminuita dal 90% al 65,8%. Questo è correlato all’aumento globale del consumo di prodotti ittici, aumentato ben del 122% nello stesso arco di tempo. Solo nel Mediterraneo e in Mar Nero nel 2017 si registrava il 62,5% di catture a livelli insostenibili. Fonte:FAO Fonte:SOFIA

Sogliola
Squalo

Questi numeri sono indicativi della reale necessità di consumo alimentare di alcune specie da tempo oggetto di sovra pesca. Un esempio per tutti è quello del tonno rosso, per cui negli anni ‘80 si registravano 20.000 tonnellate di catture totali all’anno, che equivale a riempire tutta la Basilica di San Pietro di tonno. A metà degli anni ‘90 si arrivò a superare le 53.000 tonnellate all’anno, boom probabilmente legato all’improvvisa popolarità del sashimi, per poi rientrare a livelli più ridotti negli anni 2000 con catture al di sotto delle 15.000 tonnellate all’anno. La riduzione delle catture di tonno rosso è stata possibile solo grazie all’introduzione di misure di gestione delle catture da parte della Commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell’Atlantico (ICCAT) Fonte:Druon, che successivamente sono state adattate anche per gestire le catture del pesce spada nel Mediterraneo, la cui caccia negli ultimi quarant’anni hanno superato fino al 40% il rendimento massimo sostenibile (MSY) della popolazione.

Pesce Spada

Infine, un altro effetto collaterale diretto dovuto alla sovra-pesca è la diminuzione della taglia media del pescato. Attualmente il 50-70% di catture annuali di pesce spada è costituito infatti da piccole taglie di età inferiore ai 3 anni, non ancora sessualmente maturi Fonte:Righi, ma i pescatori più anziani, quando intervistati, narrano di un passato in cui riuscivano a catturare, nel periodo tra giugno e luglio, 5-6 pesci di grandi dimensioni al giorno. Fonte:Calabria Questi pesci non esistono più, poiché non diamo abbastanza tempo alle popolazioni ittiche di riprodursi e giungere a piena maturazione.

Una dieta diversa, o un modo di consumare diverso?

Per poter garantire la protezione dei grandi predatori, l’aumento della biomassa dei pesci e il ripristino delle popolazioni, le istituzioni, le associazioni e i ricercatori si muovono verso la creazione sempre maggiore di Aree Marine Protette (AMP), ovvero aree istituite per ridurre la pressione dell’attività dell’uomo sulle specie e sull’ambiente, sia in termini di inquinamento sia in termini di pesca. Al momento solo il 2% di aree ad alto grado di biodiversità è tutelata, e nel Mediterraneo l’estensione delle AMP è limitata al 9,5% delle acque europee fino a 200 metri di distanza dalla costa. Fonte:Cardinale Esistono delle interazioni importanti da questo punto di vista tra i pescatori e le AMP, la guardia costiera e le associazioni che si adoperano per salvare specie in difficoltà o protette ai sensi di legge. L’istituzione delle AMP, infatti, prevede un lungo iter amministrativo e coinvolge non solo i cittadini e le istituzioni locali e nazionali, ma anche i pescatori, quali hanno un ruolo cruciale nella creazione e il rispetto delle aree marine protette (come è facile immaginare, le AMP trovano spesso pochi consensi, in quanto prevedono la riduzione dell’attività della pesca in aree sfruttate da sempre).

Oltre alle AMP la tutela dell’ambiente marino include anche il fermo biologico, per cui l’attività di pesca è obbligata ai sensi di legge ad interrompere la cattura di determinate taglie e specie, per dare il tempo di riprodursi. A esempio in Italia esiste il fermo per il pesce spada nell’Area dello Stretto di Messina, per i ricci di mare in Puglia, per le aragoste pescate con la pesca a strascico in Sardegna. Per questo motivo la Coldiretti ha condotto la battaglia sull’esposizione nei banchi di etichette che indichino non solo la specie e l’origine, ma anche la data di cattura. 
Negli anni si è sviluppata anche la tecnica dell’acquacoltura, ovvero l’allevamento in mare, in lagune o in vasche a terra di pesci, molluschi e crostacei. Se da un lato si può riconoscere all’acquacoltura una certa sicurezza alimentare (si può conoscere la provenienza e il metodo di produzione), dall’altro è una tecnica non priva di effetti dannosi sia per l’ambiente che per gli animali. Porta con sé inquinamento nei pressi delle gabbie a mare, difficoltà nella reperibilità dei mangimi e difficoltà del controllo delle patologie o dei parassiti derivanti dall’allevamento in gabbie, che sono spesso sottodimensionate rispetto al numero di esemplari contenuti. Inoltre, non sempre le pratiche degli allevatori per garantire il benessere e la salute dei pesci allevati (e al contempo mantenere i profitti) consentono il rispetto di tutte le normative. Pensiamo per esempio agli allevamenti di salmoni (Salmo salar) del Nord Europa. Uno dei più grandi problemi all’interno di questi allevamenti è quello di ridurre la diffusione dei pidocchi del salmone, che se presenti in gran numero possono causare anemie e ferite non solo ai salmoni allevati, ma anche ai salmoni selvatici che vivono nei pressi delle gabbie a mare. Per eliminare i pidocchi e limitarne la diffusione all’esterno la temperatura dell’acqua viene aumentata, e le gabbie vengono coperte. Questo però riduce l’ossigenazione dell’acqua, che a sua volta causa la morte del 16% dei salmoni allevati in questo modo. Fonte:Fish

Quello che fa ben sperare è l’ampia ricerca nel settore dell’acquacoltura. Quello che si sta sviluppando è l’approccio della Blue Economy, ovvero un approccio alternativo alla pesca e in generale all’economia della produzione alimentare che mette all’interno dell’equazione per generare profitto anche la preservazione dell’ambiente marino. Ripensare la pesca nell’ottica di una Blue Economy significa favorire quei cibi a basso impatto ambientale e includere nella catena produttiva il completo utilizzo dei prodotti di scarto. Prendiamo per esempio le comuni cozze (Mytilus galloprovincialis). Esse vengono prodotte con un tipo di acquacoltura estensiva a basso impatto ambientale che non prevede l’intervento dell’uomo, chiamata non-fed aquaculture. Oltre ad avere un buon bilanciamento nutrizionale e ad avere un importante ruolo nel sequestro di anidride carbonica, le valve di questi molluschi possono essere usate nell’edilizia, piuttosto che come fertilizzante o come aggiuntivo nell’alimentazione del pollame, in quanto costituite da carbonato di calcio. Fonte:Alonso Come i mitili, anche le alghe hanno un ruolo nello sviluppo della Blue Economy. La produzione di macroalghe, microalghe e cianobatteri sta riscuotendo un grande successo in campo alimentare in quanto fonte sostenibili di cibo, ed è crescente l’interesse per il loro potere di mitigare gli impatti ambientali. Un altro esempio sono i cianobatteri del genere Arthrospira, noti come Spirulina, che già negli anni ’70 erano considerati un “superfood”.  Infine, alcune microalghe, fonti di antiossidanti, pigmenti e vitamine, sono usate nell’alimentazione umana o nei mangimi, mentre alcune macroalghe dei generi Laminaria, Ascophyllum e Gelidium vengono raccolte in Europa per l’estrazione di polisaccaridi (come agar e alginato), che vengono poi a loro volta utilizzati in campo biotecnologico, alimentare, farmaceutico, biomedico. Fonte:Araujo

Spesso si discute se sia necessario cambiare il nostro approccio alimentare per proteggere il nostro mare e la fauna ittica. Cambiare l’approccio alimentare radicalmente e andare verso un’alimentazione in cui predominano le proteine vegetali potrebbe essere una soluzione, essendo che comunque la si voglia guardare la pesca intensiva e illegale non permetterà di continuare la presente linea alimentare con il moderno ritmo di consumazione. Ciononostante, portare popolazioni per cui il sostentamento deriva esclusivamente dalle attività della pesca sull’orlo della povertà non è una soluzione attuabile e non rientra tra gli obiettivi per lo sviluppo sostenibile del pianeta. Un primo passo potrebbe essere quello di variare il più possibile la dieta rinunciando ai grandi predatori e preferire il “pesce locale e di stagione”, disponibile in abbondanza nei pressi delle nostre coste e non in fase di riproduzione, introducendo anche più informazione per il consumatore. Tonno rosso e pesce spada, per esempio, hanno un ciclo vitale molto lungo (il tonno rosso vive fino a 30 anni) e per raggiungere la maturità sessuale impiegano molto più tempo di specie di piccole dimensioni, che per contro hanno una catena trofica molto ridotta. Inoltre, per catturare banchi di tonni è necessario molto più carburante, personale e imbarcazioni rispetto ai banchi di piccoli pesci. Specie da valorizzare potrebbero essere, oltre le cozze di cui abbiamo già parlato,  il cefalo (Mugil cephalus), pescato in zona costiera con reti da posta, la mormora (Lithognatus mormoris) in inverno, lo sgombro (Scomber scomber) se pescato in ambiente costiero, l’occhiata (Oblada melanura) ma non a inizio estate quando è il periodo di riproduzione e andrebbe quindi evitata, la seppia (Sepia officinalis) se pescate in primavera con nasse e infine la lampuga (Coryphaena hippurus) nel periodo autunnale, in quanto si riproduce in estate. Fonte:SEA

Seppia

Seafood Guide del WWF

La Seafood Guide del WWF potrebbe essere uno strumento utile per avere informazioni sui metodi di pesca utilizzati per ciascuna specie presente a livello locale. Fonte:WWF All’interno della WWF Seafood Guide, le sezioni “il pesce racconta” e “ricette” possono aiutarci nell’identificazione delle specie da valorizzare in cucina. La sezione “consigli WWF” invece aiuta a capire quando e perché pesci, molluschi e crostacei possono essere consumati o evitati in base allo stato di conservazione e l’impatto della pesca sulle specie e sull’ambiente. All’interno di questa sezione, per ogni specie selezionata dei cerchi verdi, gialli e rossi indicano se può essere consumata liberamente, con moderazione oppure evitata.

Se tutti iniziassimo ad informarci sui metodi di pesca utilizzati (canna da pesca, nasse, arpione, rete da posta), sul luogo di pesca e sul periodo di riproduzione, per ridurre l’importazione o il consumo di specie in fase riproduttiva o di giovane età, probabilmente contribuiremmo a garantire un futuro sostenibile anche alle future generazioni.

ANNAMARIA ALBANESE, dopo la laurea in Biologia ed Ecologia Marina presso l’Università degli Studi di Messina, ha proseguito gli studi e ha conseguito la laurea magistrale in Biologia ed Ecologia dell’Ambiente Marino Costiero. A conferma della sua passione e determinazione, ha fondato un blog scientifico Blue Life Conservation di cui è scrittrice, creatrice di contenuti digitali, di video subacquei e illustrazioni.

Blue Life Conservation nasce dall’esigenza di divulgare un’informazione corretta sullo sviluppo sostenibile e sulla conservazione di flora e fauna marina attraverso articoli, video, foto e illustrazioni sul mondo marino e sulle sue risorse. L’obiettivo di Blue Life Conservation è di permettere al pubblico di avere un database aggiornato e corretto da cui attingere.

ELISA RIPAMONTI ha sempre sporcato con i colori se stessa e qualsiasi oggetto e superficie la circondasse per la gioia di mamma e papà. Ossessionata dai colori del mare, dalla fauna marina, dalla magia della luna, dalla maestosità dei fiocchi di neve e dall’ordine nel disordine. Illustra e dipinge per dare voce ai suoi sentimenti e per provarne altrettanti.

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