MONNALISA BYTES

Science Storytelling

17′ 55″

Monologo sulla bellezza

Testi Camilla Fiz
Cos'è la bellezza?

È stata una questione di attimi. Un momento prima stavamo insieme, quello dopo di noi non restava più nulla. Anni e anni di una relazione sfuggiti così, nel tempo di dire “è meglio che ognuno di noi prosegua per la sua strada”.  

È passata una settimana da quel momento e tanti pensieri, tante domande mi perseguitano. Superate le prime sofferenze, quelle istintive e fisiche, segue una malinconia insistente. Mi guardo indietro e mi chiedo cosa mi piacesse di lui. Per quale motivo lo trovavo attraente? In questi giorni mi sono sfogata spesso con le mie amiche, rendendomi conto di alcuni dettagli e svolgendo anche un’analisi ad ampio raggio. Tutti i ragazzi con cui ho avuto una relazione o con cui avrei voluto averla hanno dei tratti fisici in comune, in un certo senso si assomigliano e forse persino mi assomigliano. Dopo lunghe riflessioni ho interpretato quest’ultimo fatto come una sorta di narcisismo estremo, per cui indirettamente sono attratta da ciò che mi somiglia o forse è solo una questione di familiarità.

A questo punto mi sono chiesta quale tipo di ragazzo sono propensa a classificare come attraente. In linea generale apprezzo l’altezza, l’occhio chiaro, l’aspetto sano e sincero, il tutto condito da qualche tratto particolare fondamentale a incuriosire. Giunta a questa conclusione, il mio pensiero avrebbe potuto vacillare in preda alle emozioni e tornare all’inutile compatimento della mia rottura. Invece ha deciso di indagare più a fondo ed entrare nel mondo dell’incertezza con la sola bussola del ragionamento e delle fonti a guidarmi. 

Bellezza e attrattività, attrattività e bellezza. Mi ripeto queste parole, interrogandomi sul loro significato. Mi chiedo se il mio concetto di bellezza verso l’altro sesso sia unicamente personale oppure influenzato e condiviso dal mondo esterno. Potrebbe essere persino manipolato dal modo in cui vedo me stessa? Qui il pensiero si ingarbuglia e si confonde sulla concezione della mia figura e apparenza, portandomi al lecito dubbio se mi vedo bella o lo sono per gli altri. 

Passa qualche giorno e non trovo pace. Non per l’ex sia chiaro, non ho più tempo per pensarci, perché le domande sulla bellezza mi girano continuamente per la testa. Ponendo dei quesiti nella mia cerchia di amici (in modo indiretto beninteso non voglio sembrare una matta) mi sono accorta dell’esistenza di modelli di bellezza contemporanei, ma anche storici. E come se esistessero dei prototipi di bellezza capaci di sopravvivere nel tempo: sono universalmente ed eternamente belli. 

Esistono quindi dei canoni di bellezza costanti nel corso della nostra storia? 

E quindi che cosa è la bellezza?

Classicamente bello

Il modo migliore per trovare delle risposte è quello di girare i tacchi e ripercorrere le orme degli antenati e ancora più indietro di chi ha rappresentato la storia occidentale. Istintivamente i miei pensieri galoppano verso il mondo dell’Antica Grecia.

Dalle lezioni di greco del liceo mi è rimasto impresso come il concetto di bellezza comportasse un equilibrio tra anima e corpo. La bellezza è come il punto di incontro tra le virtù dello spirito e la prestanza fisica, che vincola inevitabilmente l’uno all’altro. “Chi è bello è caro, chi non è bello non è caro” mi ripete sempre mia nonna, citando inconsapevolmente il canto delle muse al matrimonio di Cadmio e Armonia. Si è così plasmato lo stereotipo del bello ancora oggi così familiare. Fonte:Little Questa concezione di bellezza è del tutto ideale e si discosta dal concetto di καλόν, kālón, ovvero ciò che attrae lo sguardo e piace in modo fisico e istintivo. In ogni caso, che si tratti di bellezza ideale o attrattività, i Greci stabiliscono che la proporzione e la simmetria siano criteri indispensabili per definirla. Nel IV sec. a.C. Policleto decise di rovinarmi la vita definendo ne il “Canone” le giuste proporzioni del corpo umano, per cui quest’ultimo deve essere uguale a sette volte la propria testa.

Ovviamente appena ho letto di questa regola mi sono fiondata sul metro per misurare la lunghezza della mia testa e del corpo tutto insieme, scoprendo con rammarico che Policleto non mi avrebbe considerato un buon modello di proporzione, né tantomeno di bellezza. Ostinata nel recuperare quel poco di autostima che mi rimane, ho continuato a riflettere sul concetto di proporzionalità tra le parti. Indubbiamente è un requisito necessario per definire la bellezza, ma mi domando se queste proporzioni siano immutabili. Approfondisco la questione e scopro che, se Policleto non mi avrebbe mai assunto come modella, Lisippo, che valuta un corpo perfetto otto volte la propria testa, forse sì. In seguito nel Medioevo il numero di teste varia da 3 a 15, lasciando la possibilità a chiunque di sentirsi incluso. Mi dà sollievo sapere che il canone di bellezza non è costante, ma cambia a seconda del contesto culturale e storico in cui è inserito. Nei confronti della bellezza gli antichi greci ci hanno tramandato un profondo rispetto delle proporzioni e della simmetria. Indipendentemente dalle giuste misure, la sua chiave è proprio in quello definito consensus partium dai latini, ovvero l’equilibrio tra le parti di un sistema. Fonte:Jean  Al concetto di proporzione è strettamente associato quello del numero, ovvero un modello matematico di riferimento per le misure del corpo perfetto. Per i pitagorici, infatti, era proprio il numero ad essere il principio di tutte le cose, mentre nel Rinascimento il numero magico divenne il 4, quello dell’homo quadratus vitruviano. Infatti, chiunque aspiri ad essere un eccellente uomo vitruviano deve sapere che la sua apertura bracciale e gambale deve formare un quadrato. 

Io oramai ho perso la speranza di ritrovarmi rappresentata in un canone, ma ho capito la necessità di modello di riferimento per definire la bellezza, tanto importante quanto variabile. È il numero, infatti, a cambiare in continuazione secondo le influenze dell’ambiente esterno, mentre la ricerca della bellezza come simmetria ed equilibrio tra le parti rimane pressoché intatta.

Belli (forse) per sopravvivere 

A questo punto è evidente che l’attrazione ed aspirazione a qualcosa di bello ci tormenta da millenni, per cui mi sorge spontanea la domanda: perché esiste la bellezza? 

Per trovare le risposte a questa domanda decido di rivolgermi ad esperti di evoluzione del calibro di Darwin e amici. Dopo aver trovato le costanti della bellezza attraverso i secoli e aver capito quanto sia fortemente dipendente da fattori esterni, ho bisogno di comprenderne l’utilità e da cosa è influenzata. Rifletto e mi documento per alcuni giorni, trovandomi in seguito a chiedere al mio alter ego se la bellezza possa avere un fine riproduttivo. Ma procediamo per ordine.

Nella seconda metà del XIX secolo Darwin teorizzò la teoria evolutiva della selezione naturale, che si può semplificare in tre parole: variazione, selezione e amplificazione. Variazione significa che, considerando una specie, alcuni individui possono nascere con delle leggere variazioni rispetto alla media. Selezione significa che questi tratti eccezionali, se sono positivi per la sopravvivenza, vengono selezionati e trasmessi alla progenie, e in questo modo amplificati. Ma non tutti i tratti degli animali hanno come fine ultimo quello della sopravvivenza. Se penso ad esempio alla coda colorata e esageratamente grande dei pavoni, non riesco a trovare una sua utilità. Anzi, comporta all’animale soltanto difficoltà di movimento. Allo stesso modo non riesco a capire l’utilità dei colori sgargianti di alcuni uccelli, come pappagalli e fagiani, che a causa dei colori sono facili vittime dei predatori. E lo stesso dubbio lo ebbe anche Darwin, quando alla selezione naturale affiancò quella sessuale dei caratteri secondari, ovvero tutti quegli ornamenti inutili alla sopravvivenza e dispendiosi in termini di energia, ma utili nel rendere gli animali più attraenti e più ambiti per la riproduzione. Fonte:Darwin Quanto era cinico il nostro Darwin, per cui nessuna utilità è associata alla bellezza al di fuori delle possibilità di copulazione? Decisamente poco romantico. 

Negli stessi anni la severità di questa teoria tormentava l naturalista inglese Alfred Russel Wallace. Fortemente contrario alla selezione sessuale , Wallace era incapace di accettare il mantenimento di caratteri utili per il solo fine riproduttivo. Fonte:Ferris Dichiarò quindi che l’unico modo in cui poteva accettare la selezione sessuale fosse trovando un collegamento tra gli ornamenti e la salute fisica. Senza saperlo fu il primo a proporre il modello della bellezza come manifestazione di forza e come sinonimo evolutivo di salute. Quindi se per noi è bello ciò che piace, per Darwin è bello ciò che si riproduce, per Wallace è bello ciò che è sano.

 Sulla scia del pensiero di Wallace, dalla fine degli anni ’70 si diffuse una teoria col provocante nome di “sexy son hypothesis”, ovvero ipotesi del figlio sexy. A pensarla furono Patrick J. Weatherhead e Raleigh J. Robertson, convinti che il maschio ideale per le femmine fosse quello più bello perché bellezza=salute, e la salute indica il corredo genico destinato a sopravvivere. Fonte:PJ Questo è un meccanismo che, evolutivamente parlando, si amplifica , perché un maschio bello porterà a sua volta alla nascita di un figlio maschio bello, che avrà  maggiore successo con le femmine e così via, garantendo successi riproduttivi a catena. Fonte:PJ

Simile è anche la teoria dei “good genes”, secondo la quale le femmine selezionano il partner che garantisca una prole sana e forte. Fonte:Byers Evidenze scientifiche dimostrano che questo modello del “sano e forte” guidi la scelta del partner di diversi animali tra cui lo scarabeo, ma soprattutto l’antilocapra americana, un animale a metà tra una capra e un’antilope. Fonte:PJ Fonte:Garcia Quindi se io fossi un esemplare femmina di antilocapra e dovessi puntare il muso verso il mio compagno ideale, sarei portata ad indicare l’animale più veloce, resistente e agile, senza essere influenzata da ornamenti inutili come le corna imponenti. Fonte:PJ Lo farei perché convinta di garantire ai miei cuccioli i “buoni geni” della salute e forza, che a sua volta si tradurrebbe  in una maggiore probabilità di sopravvivenza.

Che problema c’è con questa costruzione perfetta in cui solo i belli e i veloci sopravvivono? La realtà è che se la selezione naturale lavorasse solo in questo modo noi femmine di antilocapra avremmo la grandissima colpa di contribuire alla riduzione della variabilità genetica nella nostra specie. 

Facciamo un esempio. Quando gioco alla mia versione personale di scopone scientifico (nella quale posso barare e scegliere le carte che voglio) ogni volta devo lottare contro il mio istinto primario di scegliere solo le carte migliori, gli ori. Solo dopo anni di (Darwiniana) esperienza ho capito che per vincere non bastano le carte che valgono di più e spesso mi sono ritrovata a rimpiangere di non aver considerato le altre. Gli ori equivalgono alla teoria deii buoni geni. Sono buoni, ma non sono abbastanza per garantire la sopravvivenza. Infatti, se al gioco della vita si scegliesse il partner seguendo sempre gli stessi criteri di bellezza, come io scelgo gli ori, nei figli sarebbe promossa la trasmissione di un solo gruppo di geni, che porterebbe ad una riduzione della variabilità genetica.

Non è cosa da poco. La riduzione della variabilità genetica infatti porta alla formazione di creature fragili con un debole sistema immunitario e predisposti a sviluppare malattie. Fonte:Mays La selezione del partner basata sulla sopravvivenza della propria progenie è quindi rivolta ad un bene nel breve termine, che si rivela del tutto dannoso sul lungo periodo. 

La fortuna di essere attraente

Selezione naturale o no, io voglio ancora capire perché sono attratta da un certo tipo di uomo e non da un altro. Torno indietro alla teoria dell’esistenza di canoni universali di bellezza, e scopro che non è stata dimenticata. Al contrario, poco più di vent’anni fa si è consolidata con un nuovo aggiornamento del Canone di Policleto. Questa volta è frutto di rigorose osservazioni scientifiche, ma riconduce al punto di partenza e alla teoria dei buoni geni. Fonte:Langlois Simmetria e proporzione sono la chiave per la bellezza, perché trasmettono un messaggio di salute e benessere, che secondo la teoria evolutiva significa solo una cosa: sopravvivenza. Gli uomini preferiscono le donne dal busto simmetrico, perché più fertili Fonte:Manning e le donne sono attratte da un corpo maschile simmetrico, correlato ad un buon numero di spermatozoi scattanti e pronti a fecondare. Fonte:Mann Probabilmente sarei considerata molto più attraente, se il mio naso storto non trasmettesse difficoltà respiratorie Fonte:Thorn e pensando a due gemelline che erano nella mia classe delle medie, la più bellina era Sally dal viso molto più simmetrico di Nancy. Fonte:Mealey

Ma la versione aggiornata del Canone va oltre la simmetria e ci spiega che i volti più attraenti sono in realtà quelli ordinari, privi di tratti marcati, come un mento storto o degli occhi sporgenti. Questo perchè un tratto diffuso e “ordinario” potrebbe significare che è stato selezionato dall’evoluzione perchè più efficace evolutivamente parlando e quindi destinato ad essere trasmesso.

CARATTERISTICHE FACCIALI NEUTRE

Le caratteristiche neutre facciali sembrano essere associate all’ eterozigosi, la condizione che prevede la presenza di alleli diversi, ovvero una coppia di forme variabili dello stesso gene. Ciò produce una maggiore variabilità che può essere collegata alla presenza di proteine responsabili di un microambiente facciale ostile ai parassiti del viso. Fonte:Thorn Altri studi invece indicano che la neutralità del viso porta a una maggiore variabilità del complesso MHC del sistema immunitario, che determina un più efficace ed esteso riconoscimento di agenti patogeni e la conseguente attivazione dei meccanismi di difesa. Fonte:Lie

Addentrandomi ancora nel nuovo Canone tutto d’un tratto mi accorgo del motivo per cui la mia acerrima nemica del liceo fosse considerata così sexy a differenza di me. I suoi capelli lunghi e morbidi non attiravano soltanto l’attenzione come la coda di un pavone, me erano anche indice di buona salute. Le sue labbra così carnose, le ciglia lunghe, gli zigomi accentuati, insomma i suoi tratti così spiccatamente femminili (proprio come quelli mascolini per gli uomini) possono essere simbolo di un forte sistema immunitario, perché gli ormoni sessuali riducono la risposta immunitaria, quindi essere sani e contemporaneamente avere tratti mascolini o femminili marcati potrebbe essere segno di un sistema immunitario davvero in forma. Fonte:Zahavi

Ma c’è di più. La bellezza va ben oltre la pura fisicità o la genetica. Secondo la teoria dei buoni geni essere attraenti è come aver vinto alla lotteria della vita, perché non significa soltanto trasmettere salute ma anche di godere di una reputazione migliore rispetto agli altri. Un esperimento ha coinvolto 112 manager tenuti a classificare dei candidati per un lavoro basandosi soltanto su una loro fotografia. Fonte:Marlowe Nessun curriculum e discorso motivazione hanno influenzato la scelta che è stata invece guidata dalla pura apparenza. Mi ha stupito scoprire che uomini e donne più attraenti sono stati valutati meglio dei loro colleghi meno prestanti? Ovviamente no. Sembra evidente che uomini e donne attraenti vengano giudicati più positivamente e di conseguenza tendano a stare meglio. Lo dimostra uno studio su circa duecento cento studenti, uomini e donne, valutati dall’esterno attraverso filmati e fotografie, e dall’interno valutando il proprio grado di benessere personale e attrattività. È interessante come da questa indagine risulti che chi gode di bell’aspetto tenda a vivere in uno stato di maggiore benessere e soddisfazione personale. Fonte:Diener

Tutto d’un tratto mi tornano in mente le parole di mia nonna e mi accorgo che lo stereotipo del “ciò che è bello è buono” degli antichi greci ci perseguita ancora oggi. La bellezza è lo stereotipo d’eccellenza, perché guida il nostro giudizio e precede qualunque ragionamento. Come ogni stereotipo ha la funzione di metterci in guardia dal pericolo, e nel caso della bellezza ci indirizza verso il partner con cui abbiamo più possibilità di mantenere una discendenza. Ma come ogni stereotipo è guidato dall’istinto e dallo spirito di conservazione, e proprio per questo talvolta sbaglia. 

Personalmente bello

Ho una grande confusione in testa., sSono partita dalla banalissima domanda sulla natura della bellezza, per darmi una risposta ho percorso un viaggio lungo millenni, ma continuo a non avere un’idea definitiva. Se la teoria dei buoni geni può spiegare in parte il canone universale di bellezza come simmetria e proporzione, non può giustificare tutto, ad esempio perché io mi sentissi attratta dal mio ex. La bellezza standard può attrarre in un primo momento ad un livello più superficiale, ma la questione è più complessa, mi viene il dubbio che intervengano anche dei fattori personali. 

Se è vero che la persona che sono oggi è il frutto di tutte le esperienze della mia vita fino a questo momento, significa che anche il mio concetto di bellezza è influenzato dal mio passato. Il rapporto con i miei genitori, ad esempio, potrebbe aver plasmato i miei gusti. Spero che mio padre non trovi mai questi appunti, altrimenti inizierebbe ad analizzare attentamente tutti i miei fidanzati per capire di essersi comportato bene. Infatti, io come figlia potrei tendere a cercare tratti simili a quelli di mio padre se il nostro rapporto è stato positivo durante la mia crescita o viceversa ad evitarli il più possibile. Fonte:Wis Approfondisco ancora e capisco il motivo per cui ho notato delle somiglianze tra il mio volto e quello dei ragazzi per me attraenti. Per mio sollievo non significa che sono una persona egocentrica, ma che cerco qualcuno di affidabile: la familiarità dei volti apparentemente può trasmettere un messaggio di affidabilità. Fonte:Buck Non sapevo di aver inconsciamente bisogno di un ragazzo serio, come non sapevo che se sei attratta da spontaneità e sicurezza nell’altro, secondo la scienza significa che cerchi quelle caratteristiche in te stessa. Fonte:Lit

I meccanismi e le variabili che guidano la scelta di un partner sono molto complessi (troppi da cercare tutti) e difficilmente possono essere spiegati unicamente dalla teoria dei buoni geni. Scegliere soltanto compagni belli avrebbe come controindicazione una riduzione del corredo genetico nella discendenza e non è necessariamente vero che i geni migliori siano custoditi dalle persone attraenti. La teoria dei buoni geni è stata recentemente messa in dubbio da una ricerca sulla correlazione tra attrattività facciale e salute che ha coinvolto quasi 600 donne. Fonte:Cai Secondo questo studio le donne più attraenti e con un volto uguale alla media non risultano avere alcun vantaggio sulla salute rispetto alle altre e un pari sistema immunitario. Infatti, la concentrazione di immunoglobulina A, contenuta nelle mucose e rappresentativa della prima barriera per bloccare gli agenti patogeni esterni, non è maggiore nelle donne attraenti. Fonte:Cai La mancanza di una correlazione tra attrattività e salute screditare la teoria dei buoni geni, la quale rappresenta solo uno dei modi con cui l’essere umano ha cercato di spiegare il concetto di bellezza. Oggi sappiamo che non esiste un unico modello di selezione in grado di giustificare l’intero mondo attorno a noi. Nella realtà l’evoluzione non segue una linea retta, ma è formata da migliaia di realtà che avanzano, si intersecano, regrediscono o scompaiono. Riesco a focalizzarla come una corsadi bambini distratti: nessuno sente il via e ognuno parte in un momento diverso. Alcuni inciampano, alcuni cadono, altri tornano indietro, altri ancora si tagliano la strada oppure si muovono determinati verso una meta che sembra sempre più lontana.

Mi ritrovo qui alla fine del mio viaggio con più interrogativi di quando sono partita. Ho capito perché sia attratta da una tipologia di ragazzi, che la bellezza è tutta una questione di simmetria e proporzione, ma i criteri evolutivi che guidano la scelta del partner rimangono ancora nella nebulosa dei dubbi e delle ipotesi. Una cosa però l’ho capita. La bellezza è uno stereotipo che non risparmia nessuno. La sua forza è immensa tanto da sopravvivere a millenni di storia cambiando all’apparenza, ma rimanendo intatta nel suo centro. Le sue costanti si possono spiegare solo in parte con la pretesa così umana di sopravvivenza, mentre tutto il resto è frutto di una rielaborazione personale del concetto di attrattività. Ed è la mia soggettività che voglio sviluppare, perché sia priva il più possibile di pregiudizi culturali e stereotipati. L’idea di bellezza è il risultato di un dialogo tra me, come persona e individuo del genere umano con tutti i suoi istinti, e il contesto storico in cui sono inserita. Voglio che la mia voce risuoni più forte. Che la bellezza ideale rimanga nei libri di Storia e sulle copertine delle riviste, per tutti gli altri vale la pena accettare e ricercare la diversità. La chiave per la sopravvivenza si trova infatti nella varietà, soprattutto se genetica. Ora posso iniziare a pensare al prossimo fidanzato con qualche pregiudizio in meno, ma qualche consapevolezza in più.

CAMILLA FIZ, nata nel 1997, si è addentrata nel mondo della Scienza dopo una formazione classica. Ne è uscita da poco con una laurea in Biotecnologie Molecolari all’Università di Torino, dopo aver anche proseguito lo studio del Pianoforte al Conservatorio. Da qui ha capito di voler imparare ad usare le note della divulgazione per raccontare i fatti della Scienza.