La convinzione che il mondo ha un senso proviene da un fondamento inoppugnabile: la nostra quasi illimitata capacità di ignorare la nostra ignoranza.
– Daniel Kahneman (1934), psicologo Israeliano, vincitore del premio Nobel per l’economia
Mettiamo caso che ci sia una comunità in Africa afflitta dalla malaria, e ci sia una tecnica di ingegneria genetica, poco costosa e indolore, che potrebbe rendere sterili tutte le zanzare portatrici di malaria, e risolvere, nel giro di pochi anni, un problema che affligge l’umanità da millenni. Ha diritto la comunità di decidere se estinguere queste zanzare per sempre? E se questo andasse a modificare le coltivazioni di riso in Cina, o in Italia? Ora giriamo la domanda. Abbiamo diritto noi, seduti comodamente sul nostro divano Färlöv, di pontificare sul destino di una comunità il cui problema -mortale- potrebbe essere risolto permanentemente con una tecnica di ingegneria genetica?
Siamo tutti d’accordo che un regolamento in materia di genetic engineering ci deve essere, ma è lecito chiedersi chi dovrebbe scrivere e imporre questo regolamento. Le aziende? Le università? Il governo? Se è vero che all’interno dei laboratori accademici dovrebbero esistere approcci disinteressati, è anche vero che non è la prima volta in cui questo non accade – alcuni scienziati possono essere più legati al potere che all’etica, e il sistema di peer-review è intrappolato tra lotte di potere, preferenze nazionalistiche e semplice follia (Qui un articolo pubblicato di recente sulla potenzialità degli amuleti di giada per scongiurare il Covid – purtroppo siamo arrivati dopo l’ondata di proteste che ha causato il ritiro dell’articolo, quindi troverete solo uno schermo bianco che si scusa con voi).
Per quanto riguarda le aziende farmaceutiche, alcune sembrano lontane dal rappresentare un modello etico di cui fidarsi. Nel 2017 la Marathon Pharmaceutical, un’azienda americana, fu bloccata nel tentativo di vendere il Deflazacort – una medicina per la distrofia muscolare di Duchenne- a $89,000 all’anno negli Stati Uniti, anzichè per $5 al giorno come in Canada e in Europa.
Ha dunque ragione Josiah Zayner – il biohacker col ciuffo più ossigenato da questo lato degli anni ’80 – quando dice che l’unico che può decidere del proprio destino è il popolo? Non vi posso negare che non tutti i biohacker mi lasciano dormire la notte. Non mi preoccupano quelli interessati a orecchie sull’avambraccio e cani fluorescenti, e nemmeno quelli che dicono “biohacker” ma in realtà intendono “blog il cui indirizzo è il mio nome e cognome.com e un contratto con una tv privata per vendere integratori e pancere”. Quello che mi preoccupa sono vicende come la tragedia parabolica di Ascendance Biomedic, la compagnia di proprietà di Aaron Tregwick, che, fornito solo di una laurea in studi interdisciplinari, cercò di promuovere un miracoloso medicinale che avrebbe dovuto eliminare l’HIV con una sola iniezione. Purtroppo Aaron Tregwick è morto nel 2018, annegato in una vasca con tracce di ketamina nel sangue, e la Ascendance è ormai un segnaposto su Facebook.
In linea di massima il biohacker è uno scienziato che ha deciso di seguire una via nella quale regna il principio della democrazia di utilizzo di una tecnica scientifica da parte della gente (a parte quelli che sono diventati guru, dietologi, insegnanti di fitness e scrittori newage). Il concetto che il popolo dovrebbe essere investito di libertà di scelta, senza essere sempre guidato da un’entità paternalistica superiore, non è nuovo nell’ambiente accademico. Lo psicologo tedesco Gerd Gigerenzer supporta da decenni l’idea che una società davvero democratica è una società che sa prendersi delle responsabilità di scelta. Ciononostante, Gigerenzer suggerisce (ci ha anche scritto un libro al riguardo) che prima di dare il potere decisionale alla gente bisogna far si che abbia gli strumenti per valutare le implicazioni di tale decisione. Le persone, dice Kevin Esvel, professore del Massachusetts Institute of Technology che sta ricostruendo -geneticamente parlando- interi habitat, scelgono in base ai propri valori, non in base ai dati. Daniel Kahneman ci ha vinto un Nobel su questo, proponendo modelli economici che dimostrano come l’essere umano non sia razionale, bensì istintivo, sentimentale e caotico. Questo non sempre è un male: è il motivo per cui esiste l’amicizia, la compassione, la gentilezza. Ma l’implicazione è che non possiamo giudicare una tecnica senza tenere conto delle nostre emozioni e irrazionalità. Alcune scelte che verranno fatte saranno pessime e i loro risultati imprevedibili, poiché in sistemi complessi non esistono soluzioni lineari.
Avrei voluto approcciarmi al biohacking con meno scetticismo, ma internet è così sommerso da “biohackers” che vendono consigli di fitness e libri autografati che non riesco a prenderli sul serio. Non ho la risposta alla domanda iniziale, è una domanda difficile. Il mio pensiero finale è che se cerchiamo aiuto per la nostra salute forse è ancora meglio rivolgersi a un medico qualificato. Con tutti i difetti che hanno, per lo meno non cercheranno di venderci il loro ricettario contro l’invecchiamento precoce. Prima si chiamavano maghi e santoni, ora sono vestiti da hipster, ma la gente che ci vende un sogno in cambio della nostra carta di credito è sempre dietro l’angolo.
Decoding Trubridge | Campioni si nasce, o si diventa? È la domanda che si è chiesta Neo Life (il nome sembra quello di una setta, ma è la “sorella più giovane” di Wired) in questo documentario sulle gesta di William Trubridge, 18 record mondiali in qualsiasi disciplina legata all’apnea. È scritto nei suoi geni? E se sì, quali?
Dallas Buyers Club | Uno dei film che meglio mostrano la lotta tra il paziente e le compagnie farmaceutiche negli Stati Uniti e giochi di potere tra ricerca medica e governo. Guardandolo non ci si stupisce che la gente inizi a curarsi da sola. Da vedere in lingua originale per non perdersi un Matthew McConaughey in stato di grazia e il suo accento strascicato.
Gut Hack – New York Times Op-Doc | Il mio biohacker preferito resta Josiah Zayner, l’ex biofisico della NASA con una passione per l’oversharing e le pettinature che non vanno di moda. In questo documentario del New York Times decide che è una buona idea mangiare le feci di un suo amico per placare i suoi dolori intestinali. A voi il verdetto finale.
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