MONNALISA BYTES

Science Storytelling

14′ 28″

Il teletrasporto è possibile, ma non è quello che ti aspetti!

Testi Eliana Lacorte
Immagini Adriana Di Cesare
Il teletrasporto quantico e la rivoluzione dell'informazione

È lunedì. Piove. Non fa più freddo del solito, ma bagnarsi sotto la pioggia battente sarebbe comunque una seccatura. Stai per fare la stessa scelta di migliaia di concittadini: oggi si va al lavoro in macchina. Sospiri con rassegnazione: c’è una relazione banale tra la pioggia e il traffico e sai che per questo ci impiegherai più del solito per giungere al lavoro.

C’è un pensiero fisso che ti balena in mente ogni volta che sai di dover rimanere imbottigliato nel traffico per chissà quanto tempo: “quanto sarebbe bello se potessi teletrasportarmi direttamente a destinazione”. Anche stavolta non fa eccezione e mentre sei in attesa del verde al semaforo cominci a fantasticare che qualcuno, lì al lavoro, possa azionare una macchina, piena di bottoni ma nemmeno troppo ingombrante, che ti preleva da casa e ti fa arrivare direttamente nel tuo ufficio. Una bella comodità!

Sì un po’ come accadeva in Star Trek. “Quanto ci vorrà poi, a tutti gli scienziati, i fisici e gli ingegneri, a costruire un aggeggio simile? Abbiamo fatto così tanti progressi, ci si potrà anche inventare una cabina per il teletrasporto!” Oppure no?

Viaggiando in auto verso la tua destinazione, cominci a ragionare su quale percorso ti convenga fare: ce ne sono diversi, dai più corti e trafficati a quelli lunghi o tortuosi, che però di solito hanno meno traffico. E mentre la scelta è ancora in una sovrapposizione confusa e indistinguibile di possibilità nella tua testa. torni sul teletrasporto e ti chiedi come funzionava quello di Star Trek. Dopotutto, è il più famoso nella storia della fantascienza.

In ogni episodio, un drappello di uomini entrava nella cabina per il teletrasporto, ognuno al suo posto, e, in un fascio di luci e bagliori, veniva dematerializzato della cabina dell’astronave e rimaterializzato lì, sulla superficie del pianeta da esplorare. Un trucco che agli sceneggiatori permetteva di stare nel budget, senza dover filmare atterraggi e decolli dell’Enterprise ad ogni puntata. E, allo stesso tempo, una sintesi e una conferma dell’immaginario di come debba funzionare un teletrasporto. Una macchina legge e memorizza tutte le informazioni riguardo un individuo e le trasforma in energia, riconvertendo poi, con un processo inverso, quell’energia nell’individuo di partenza direttamente a destinazione.

Ora, tralasciando per un momento se questa cosa sia fattibile o meno nella realtà, se il teletrasporto funzionasse in questo modo, beh, probabilmente non sarebbe così veloce come i telefilm ci hanno abituato a credere. Certo, ci impiegheresti qualche microsecondo per arrivare al lavoro, teletrasportandoti da casa, ma se volessimo aprirci all’esplorazione dello spazio interstellare, credendo di fare in fretta grazie al teletrasporto, avremmo una bella delusione! Se esiste un “fascio d’energia” che deve viaggiare da un punto ad un altro, questo è costretto a viaggiare al più alla velocità della luce. Per esempio, vogliamo teletrasportarci verso la stella più vicina al Sole, Proxima Centauri? Bene, allora il teletrasporto – così come lo abbiamo descritto finora – ci lascia in viaggio per oltre 4 anni.
In Star Trek movimenti e comunicazioni più veloci della luce sono tecnologie consolidate, ma noi ancora non abbiamo alcuna indicazione che si riuscirà mai a superare il muro invisibile e invalicabile della velocità della luce.

Ma, dopotutto, a te non interessa andare a esplorare nuovi mondi, non vuoi arrivare là dove nessun uomo è mai giunto prima, vuoi solo arrivare al lavoro risparmiandoti il traffico. In linea di principio, ti sembra che sia ancora fattibile. Anzi, potresti abitare dall’altra parte del pianeta e arrivare ogni mattina puntuale al lavoro. Un sogno!Certo bisognerebbe assicurarsi che il sistema funzioni, prima di installarlo in ogni azienda o ufficio. Sarebbe spiacevole ritrovarsi con mezzo corpo teletrasportato di là e il restante ancora in casa… Ti sembra di ricordare che qualche autore di fantascienza aveva immaginato di una testa, ancora funzionante e parlante, giunta a destinazione senza il suo corpo. Fonte:Page Scarti subito questa situazione estrema come pura fantasia. Però, se mentre la macchina legge le informazioni dell’individuo da trasportare, qualcosa di estraneo viene “scansionato” insieme al viaggiatore? C’era quel film, di qualche decennio fa, “La mosca”, Fonte:Mosca in cui si raccontava di un simile esperimento andato male. Il protagonista si ritrovava ad uscire dalla cabina del teletrasporto col proprio DNA fuso a quello di una mosca.

Ed è qui che ti viene l’illuminazione: la vera difficoltà di un teletrasporto “alla Star Trek” sta nel codificare esattamente come sia fatto l’individuo da teletrasportare. E per esattamente si intende fino all’ultima caratteristica di ogni particella subatomica dell’individuo. Una volta superato questo scoglio, cosa ci vuole a spedire le informazioni a destinazione e ricostruire il viaggiatore?

Beh, se non fosse per il principio di indeterminazione di Heisenberg, che di fatto rende inconoscibili contemporaneamente tutte le caratteristiche di una particella con precisione piccola a piacere, probabilmente si potrebbe anche fare. Ci vogliono soltanto spazio di memoria, velocità di calcolo ed energia. Più di quanto riusciremo mai ad averne. Si calcola che per descrivere un atomo occorrano 100 bit, le unità fondamentali della memoria dei computer. In ogni essere umano si stimano 1028 atomi Fonte:Tele (cioè 10 miliardi di miliardi di miliardi). Quindi per ogni individuo basta avere un hard disk di 100×1028 bit. Gli hard disk che usiamo oggi sono al più dell’ordine dei terabyte, ovvero hanno una capienza di 8×1012 bit: ne occorrerebbero altri 1018 (un miliardo di miliardi) per contenere le informazioni relative ad un solo essere umano da teletrasportare. Un ragionamento analogo si può fare sui tempi di calcolo: per processare tutte le informazioni che descrivono un solo individuo con gli attuali calcolatori occorrerebbero circa 4.8mila miliardi di anni. Fonte:Infi

Ricordando che l’universo ha poco più di 13 miliardi di anni, si capisce subito che l’impresa è impossibile. Anche l’energia necessaria ad un simile teletrasporto sarebbe qualcosa di attualmente impensabile. Dipenderebbe dalla velocità di trasmissione dei dati: se volessimo accorciare i tempi bisognerebbe aumentare l’energia coinvolta. Ma, già con le più veloci trasmissioni dati attuali, occorrerebbe un’energia dell’ordine di 10mila miliardi di gigawattora: tanto quanto basta al fabbisogno di energia elettrica italiano per oltre 30 milioni di anni, stando ai consumi attuali. Fonte:Terna

Eppure, fino a qui, si può ancora immaginare che gli scienziati inventeranno nuovi calcolatori o nuovi modi di fare i calcoli e prima o poi riusciranno a immagazzinare ed elaborare tutte le informazioni necessarie ad un teletrasporto umano. Si può immaginare che si riuscirà ad usare in maniera più efficiente l’energia che viene dal Sole, e moltiplicare a dismisura il potenziale energetico a disposizione del genere umano. Meno probabile è aggirare Heisenberg però. Eppure, pensi, forse non oggi, ma nei prossimi 100 anni? Chi può sapere quali progressi della scienza e della tecnica ci attendono?

Perso in queste riflessioni, sempre più propenso ad accettare l’impossibilità del teletrasporto umano, accendi la radio e cerchi qualcosa che ti faccia compagnia.
Non sei fortunato. O forse sì, perché paradossalmente in radio stanno parlando di un esperimento di teletrasporto conclusosi con successo.

Il tuo iniziale entusiasmo nell’apprendere la notizia però si smorza man mano che ascolti i dettagli dell’esperimento. Non si tratta di un teletrasporto di esseri umani, da film di fantascienza. In radio stanno parlando del teletrasporto quantistico, una tecnica con la quale si può istantaneamente “trasferire” una o più particelle a una distanza grande a piacere.

La differenza fondamentale con l’idea di teletrasporto che conosciamo dalla narrativa e dalla cinematografia è che nel teletrasporto quantistico non si trasferiscono né la materia, né l’energia. Ciò che si trasferisce è lo stato di una particella. Si teletrasporta informazione quindi.

Il risultato del teletrasporto quantistico è come una sorta di mappatura a distanza e la cosa bella è che non si conosce com’è fatta la mappa alla partenza, ma la si conosce solo quando la si guarda all’arrivo.

Dalla prima prova sperimentale, Fonte:Dik nel 1997, gruppi di ricerca di tutto il mondo si sono concentrati sullo sviluppare la migliore tecnologia possibile per gestire il teletrasporto quantistico. Sono stati teletrasportati con successo fotoni, elettroni, alcuni ensemble (insiemi isolati) di atomi persino. Si sono sfruttati i satelliti in orbita per teletrasportare stati quantici a distanza di oltre 1200 km. Fonte:Liao L’interesse, fortissimo, è dovuto al fatto che il teletrasporto quantistico una delle tecnologie di punta per la costruzione di nuovi calcolatori.

Comunità di fisici stanno già immaginando nuovi protocolli di sicurezza, nuovi computer, nuove forme di comunicazione: tutto ciò non è fantascienza, come il teletrasporto di Star Trek, è qualcosa che si può effettivamente realizzare e alla portata di mano delle nostre conoscenze attuali.

I principi della fisica quantistica sono già sfruttati nel campo della crittografia quantistica. Il concetto, vecchio di millenni, di potersi scambiare messaggi indecifrabili da chi non possiede la chiave per leggerli, assume nuova forza se la chiave è quantistica, cioè composta da particelle soggette alle leggi quantistiche.

Si sfrutta in particolare il principio di sovrapposizione: finché non si effettua una misura sullo stato di una particella, questa si troverà in una sovrapposizione di stati possibili, ovvero non possiamo conoscere lo stato di una particella finché non la osserviamo. Una volta osservata, però, lo stato misurato assume valore unico e definito: non si può più tornare indietro. Poiché la misura delle proprietà di una particella cambia la particella stessa, un osservatore non autorizzato che cercasse di intrufolarsi a leggere la chiave di una comunicazione verrebbe immediatamente scoperto da mittente e destinatario. A quel punto i due saprebbero che quella chiave è da non utilizzare e ne produrrebbero un’altra. La crittografia quantistica inoltre diverrebbe necessità nel caso in cui si cominciassero a utilizzare computer quantistici: qualsiasi chiave classica sarebbe troppo facile da svelare per chiunque possedesse la velocità di calcolo che un computer quantistico può dare.

IL QUBIT

Trasformare l’unità minima di informazione del computer classico, il bit, che può avere solo stato 0 o stato 1, nell’unità minima di informazione di un sistema quantistico, il qubit (quantum bit), che può tenere in memoria una sovrapposizione dei due stati, consente infatti di aumentare la capacità di calcolo di ordini di grandezza. Non raddoppiare, triplicare, o decuplicare la velocità di calcolo: molto di più! Un prototipo di computer quantistico a 53 qubit di Google, Sycamore, in un esperimento del 2019 ha svolto in 200 secondi un calcolo che il più potente supercomputer classico attualmente in uso avrebbe impiegato 10mila anni a completare. Fonte:Arute
La differenza è abissale. Lo è anche la difficoltà di costruzione e gestione, però. I qubit devono lavorare senza entrare in contatto con nessun’altra particella, pena la decoerenza quantistica, ovvero la perdita di quella sovrapposizione artefice del vantaggio sul bit classico.

Di pari passo con la ricerca per la costruzione di un computer quantistico funzionante, procede quella che indaga la possibilità di una rete internet quantistica.

Se si vuole costruire una rete internet quantistica, non solo le macchine devono conservare ed elaborare le informazioni servendosi di qubit, e quindi della sovrapposizione quantistica, ma il sistema di connessione tra le varie macchine deve essere ripensato per “muovere” questi qubit. La nuova trasmissione dati si baserà sulla correlazione quantistica e sulla possibilità di teletrasportare lo stato di una particella o di un ensemble di particelle da una macchina ad un’altra.

LA CORRELAZIONE QUANTISTICA

La correlazione quantistica, fenomeno noto in inglese come entanglement, si ottiene forzando una relazione tra due particelle, in modo tale da farle comportare come se fossero non più indipendenti l’una dall’altra ma un’unica entità. Questo significa che una volta che di una particella si misura una grandezza, ad esempio lo spin di un elettrone o la polarizzazione di un fotone, si può stare certi che della seconda particella si otterrà la misura corrispondente. Ciò significa che si può prevedere il risultato che si avrebbe misurando una seconda particella entangled, istantaneamente. Non importa se le due misure si effettuano sullo stesso tavolo, o in un laboratorio sul pianeta Terra e in uno attorno a Proxima Centauri. Questo concetto turbò profondamente Einstein e altri fisici del Novecento, perché ci costringe a cambiare profondamente la prospettiva con la quale guardiamo la natura e il modo in cui essa ci parla.

Sfruttando la correlazione quantistica si possono trasferire informazioni istantaneamente su distanze lunghe a piacere. A questo punto il dubbio che torturava Einstein ti assale: possiamo comunicare a velocità superiori a quelle della luce? No – ti sembra quasi di vedere il fisico in radio sorridere sotto i baffi mentre spiega il paradosso – la velocità della luce resta imbattuta anche quando proviamo a comunicare con particelle entangled. È vero che se misuriamo due particelle in correlazione quantistica esse danno risultati corrispondenti, ma nel laboratorio su Proxima Centauri dovrebbero comunque sapere quale tipo di misurazione si è effettuata sulla Terra, e questa comunicazione, ovvero i dettagli della misura da compiere, viaggerebbe secondo canali classici quindi al più alla velocità della luce.

UNA FIBRA OTTICA LUNGA 44 KM

Anche per realizzare una rete internet quantistica gli ostacoli tecnici da superare non sono banali: gli esperimenti attuali riescono a trasportare informazione attraverso canali quantistici per distanze dell’ordine di poche decine di chilometri attraverso la fibra ottica. Si usa la fibra perché spesso gli esperimenti sfruttano fotoni come particelle entangled, e anche perché la fibra ottica è parte di un’infrastruttura già predisposta e usata comunemente. Il record attuale di teletrasporto quantistico in fibra ottica di 44 chilometri è di un esperimento condotto dalla collaborazione tra Fermilab e California Institute of Technology (Caltech) a fine 2020. Fonte:Fermilab Fonte:Quantum

Insomma, questo viaggio macchina è stato più interessante del solito. Sì, è vero, hai dovuto attendere in coda nel traffico e ci hai impiegato più del solito ad arrivare al lavoro. Ma intanto ti sei perso a fantasticare delle implicazioni etiche del teletrasporto umano e hai rimuginato su quanto la fisica quantistica sia profondamente diversa dalla realtà fisica che siamo abituati a percepire con i sensi.

Ciononostante, mentre scendi dall’auto per andare in ufficio, rifletti sul fatto che oggi troverai metà dei tuoi colleghi. Gli altri non lasceranno il proprio appartamento. È vero che non possiamo scomparire in un bagliore di luce nella “stanza del teletrasporto” del nostro condominio, per rimaterializzarci nell’analoga stanza direttamente sul posto di lavoro. Ma nell’ultimo anno non c’è stato nemmeno bisogno di bagliori da fantascienza per teletrasportarci al lavoro. O a scuola. Abbiamo tutti sperimentato un teletrasporto surrogato, che non trasmette il nostro corpo, ma la nostra mente. Ci siamo connessi grazie ad un dispositivo digitale ed una connessione internet alla stessa stanza virtuale. Abbiamo fatto riunioni e interviste e seguito o erogato corsi e lezioni, tutto dalla comodità di casa. Basta un click. E una buona connessione. E una fotocamera decente. È immediato apprezzarne i vantaggi: possiamo tagliare di netto il tempo per gli spostamenti, possiamo gestire qualcosa in casa durante le pause di lavoro (ricordi quante lavatrici hai messo su tra una riunione e un’altra?), possiamo persino passare la pausa caffè con la nostra famiglia. Ma, come sempre accade, nulla ha solo lati positivi. La difficoltà più banale da prevedere è la mancanza di tranquillità o di mezzi e spazi per continuare a lavorare o studiare con l’efficacia e l’efficienza che il posto dedicato offre, sia esso dato dalle mura dell’ufficio o della scuola. Un’altra difficoltà, più insidiosa e meno meno prevista, è la stanchezza che interagire attraverso lo schermo comporta. Milioni di anni di evoluzione ci hanno reso uno splendido animale sociale, che non interpreta il prossimo solo dalle parole, ma anche attraverso il linguaggio non verbale. Durante questi lunghi mesi abbiamo scoperto quanto è faticoso cogliere le sfumature del linguaggio non verbale quando l’unico modo per farlo è scrutare un’immagine su uno schermo, talvolta anche a bassa risoluzione, e ascoltare le voci attraverso altoparlanti o cuffie (spesso a scatti perché chi parla o chi ascolta ha una connessione instabile o affollata). 

Ci siamo serviti di questo teletrasporto surrogato tantissime volte, e continueremo a farlo. Fa quello che deve: azzera la distanza e il tempo di percorrenza. Almeno entro il limite invalicabile della velocità della luce.

Tuttavia mentre entri in ufficio, siedi alla tua scrivania e accendi il tuo pc, non puoi fare a meno di ripensare a quanto quel viaggio in macchina stamattina, cominciato con uno sbuffo esasperato per il tempo che avresti “sprecato”, ti ha dato la possibilità di pensare e riflettere e perderti nei tuoi pensieri. Ti ha dato, in sostanza, la possibilità di rallentare.

In un mondo con distanze e tempi azzerati, dove siamo felici di dichiarare che ogni minuto della nostra giornata è impacchettato di operazioni da compiere, ti chiedi se il teletrasporto, fantascientifico o surrogato, sia solo qualcosa di positivo.

Ti chiedi se vale veramente la pena viaggiare… senza godersi il viaggio.

ELIANA LACORTE è laureata in Astrofisica e Cosmologia all’Università di Bologna e ha un Master in Comunicazione delle Scienze all’Università di Padova. Da oltre 15 anni parla di scienza alle persone: dal vivo, scrivendo, o realizzando progetti di comunicazione scientifica per studenti e studentesse e per pubblico generico. Ha il pallino della programmazione. Quando non è alla scrivania, è da qualche parte in bicicletta.

ADRIANA DI CESARE è una creativa nella norma – almeno crede. È laureata in Graphic Design & Art Direction, qualche volta è un’atleta agonista di canottaggio, le piace cantare sotto la doccia e raccontare storie.