MONNALISA BYTES

Science Storytelling

5′ 14″

Perché fidarsi della scienza?

Testi Emma Gatti
La Scienza ci fa progredire, anche quando sbaglia

Un’affermazione può essere considerata con del significato se e solo se può essere verificata con l’osservazione.
– A.J. Ayer, da “Linguaggio, verità e logica”

Esiste un confine importante tra autorità scientifica di cui ci si può fidare e dissenso pseudoscientifico basato su una ideologia (o interessi economici). Il problema è che la gente non si fida più di tale autorità: in tv anche i medici più autorevoli hanno sbagliato le previsioni e si sono contraddetti a vicenda (dai “È come un’influenza” di Maria Rita Gismondo ai “Il rischio in Italia è zero” di Burioni, passando per il gucciniano “Il virus è morto” di Zangrillo) – e l’ultimo anno ha dimostrato come a volte anche gli scienziat* fanno errori. In realtà il 2020 non è una novità nella storia della scienza. In passato ci sono stati casi eclatanti di teorie rigettate e poi rivelatesi corrette (vedi la teoria delle placche, inizialmente ridicolizzata dalla comunità scientifica Americana che la riteneva “troppo Europea”) e viceversa, teorie ritenuta giuste e poi rivelatesi completamente sbagliate, come la “teoria delle mestruazioni” (non si chiama davvero così, non ha un nome preciso), popolare nel XIX secolo, secondo la quale la donna non doveva lavorare o studiare durante il ciclo per non danneggiare la sua fertilità, o l’eugenetica, che proclamava la superiorità genetica di certe etnie su altre. 

E dunque come possiamo essere sicuri che gli scienziat* non si sbaglino, come è successo in passato? Magari dovremmo davvero controllare se i vaccini funzionano, se il cambiamento climatico esiste, o se le sigarette provocano il cancro. Se usiamo i vaccini come esempio, visto che in questi giorni non si parla d’altro, molta gente è confusa sui rischi legati al vaccino, seppure gli immunolog* ci dicono che i vaccini non causano autismo, non causano mutazioni genetiche, e non causano effetti collaterali importanti a meno che non vi sia una reazione anafilattica. Eppure questo non basta a calmare gli animi (il 41% degli Italiani sembra non vuole vaccinarsi). La stampa generica disputa continuamente la ricerca scientifica, spesso usando come interlocutori personaggi che non hanno un background scientifico adeguato per farlo. E quindi come possiamo capire a chi credere, e a chi no? Perchè fidarsi della scienza?

Ecco la nostra, scientificamente ponderata, risposta: 

  1. Perché la scienza è una comunità costruita su una visione consensuale, non l‘opinione del singolo 

Questo è uno dei danni maggiori fatto dalla stampa generalista (e dai social) al mondo della ricerca, ovvero quello di intervistare il/la singol* scienziat*, fargli dire la sua opinione, e presentarl* come portavoce della comunità. La scienza non funziona così. Il progresso scientifico è un’attività di gruppo: una teoria viene supportata all’interno della comunità solo dopo che ha passato una selezione con degli specifici parametri. I parametri sono il sistema di peer-reviewed (che significa che il tuo lavoro, prima di essere pubblicato, deve essere valutato da una serie di espert*), la condivisione dei dati tra laboratori, la riproduzione degli esperimenti da parte di laboratori diversi, e la critica informale dei lavori non pubblicati in conferenze e incontri. Non giudicate il singolo scienziato, giudicate il grado di consenso scientifico che il suo lavoro ha ottenuto, negli anni, all’interno della comunità nella quale opera: l’opinione di questa persona è supportata da molteplici lavori pubblicati in testate autorevoli, e da altri gruppi di ricerca autorevoli che hanno verificato il suo operato? Allora forse si, vale la pena fidarsi. Oppure è un personaggio con un record conclamato di sparate pubblicitarie e visioni distorte mai supportare dal resto della comunità scientifica? Allora magari no. (Caso emblematico quello di Luc Montagnier, premio Nobel per la scoperta del virus dell’HIV che, dopo aver proclamato negli anni ‘90 che l‘AIDS si trasmette con un bacio, è diventato no vax, no covid, e avvallatore di diverse teorie complottiste, tutte rigettate dalla comunità scientifica). 

  1. Perché è basata su un metodo (non una dottrina) che necessita la verifica dei dati

La scienza è la pratica di formulare affermazioni con un significato, e usare tali osservazioni per giudicare se le affermazioni sono corrette oppure no. Questo principio, quello di usare l’osservazione e i dati per giudicare se una cosa è plausibile o no, è ciò che più di tutto demarca la conoscenza scientifica da quella non scientifica. Una teoria scientifica è verificabile, o confutabile, usando l’osservazione e la verifica dei dati. Una teoria che non è verificabile con i dati e le osservazioni non è una teoria scientifica. 

  1. Perché si auto-corregge costantemente

La scienza la fanno gli esseri umani, con tutti i loro problemi, sentimenti, emozioni e pregiudizi, e quindi non è priva di errori, a volte anche gargantueschi. I toni possono diventare aspri anche all’interno della comunità, con sfumature che possono sfociare nel personale. Ma la scienza, proprio perché sa che un punto di vista dipende anche dalla posizione sociale occupata,  è costruita in un modo che si possa auto-correggere nel tempo. Gli scienziat* si correggono a vicenda (a volte anche veementemente, ho assistito a conferenze durante le quali la gente si urlava addosso) attraverso un processo di interrogazione continua. È attraverso questo scambio di idee, di domande, di ammende, che chiunque coinvolto nella ricerca è costrett* a verificare le proprie teorie, andando in questo modo a contribuire alla crescita della comunità. 

  1. Perché ha un record comprovato di successi

Viviamo in un mondo fatto di medicine che salvano vite, tecnologie che ce la rendono più facile, e conoscenze che ci permettono di fare cose che l’uomo non sarebbe mai riuscito a fare, tutte derivate direttamente dalla scienza. La scienza, al di là di ogni ragionevole dubbio, funziona.

Questo punto di vista non è una richiesta di cieca fiducia, bensì la richiesta di avere una fiducia informata nelle conclusioni consensuali della comunità scientifica, che non necessariamente rappresenta la visione o l’opinione del singolo. Rispettare una conoscenza che ha dimostrato di poter passare la verifica dei dati, e di avere una efficacia clinica il cui record è lungo 300 anni, è diverso dall’accettare opinioni generiche derivante dall’ignoranza o da una logica fallace (o, peggio ancora, interessata). 

[Per non sembrare troppo intelligente, ed evitare denunce per plagio, è giusto confessare che la maggior parte del mio pensiero al riguardo deriva dalla lettura dei libri di Naomi Oreskes (in particolare Why Trust Science? E “Beyond the Ivory Tower” ), Henry Charles Lea Professor ad Harvard, geologa, storica, filosofa della scienza, scrittrice, e appassionata difenditrice del metodo scientifico. I suoi libri sono leggeri come una mattonella di bario e semplici come un libro di Sant’Agostino, ma se avete voglia di cimentarvi nella lettura, ne vale la pena.]


Over The Pop

Gli eventi densi di significato politico delle ultime tre settimane ha riportato in auge il dibattito sulle fake news e la libertà di espressione (è legittimo chiudere un account social a qualcuno che fa delle fake news la sua arma di lotta, e il cui effetto è stato verificato da atti di violenza?). L’argomento in qualche modo tocca la scienza, essendo che molte fake news riguardano l’ambito scientifico, ma può essere discusso anche attraverso altri linguaggi. Oggi vi suggeriamo una carrellata di opinioni (discordanti ovviamente!) offerte dalle maggiori voci umanistiche della scena Italiana e non. 

Qua l’intervento di Arianna Ciccone su Valigia Blu, al quale, per par condicio, contrapponiamo quello di Sofri sul Post (con annessa querelle su Twitter). Se avete l’abbonamento a Repubblica potete godervi anche l’intervento di Cacciari, a cui contrapponiamo l’intervista di Martina Pennisi del Corriere a Luciano Floridi, filosofo e direttore del Digital Ethics Lab dell’Università di Oxford.

Per quanto riguarda i giornali stranieri (che forse si sono espressi in maniera più matura sulla questione), tra i molti segnaliamo questo bell’articolo di The Conversation, che sposta l’attenzione non tanto sul fatto in sé, ma sulle prove oggettive di manipolazione, su scala industriale, dei social media per campagne politiche. Oltre all’articolo suggeriamo anche questo report, sponsorizzato da The Conversation and The Project Manipulation Propaganda, dell’università di Oxford, che presenta un inventario globale della manipolazione organizzata dei social media (Spoiler: c’è anche l’Italia tra i paesi più colpiti dal fenomeno).
Il Guardian fa anche lui un bel lavoro, mettendo a confronto l’opinione di cinque esperti nella difesa della libertà di opinione. La CNBC va a chiedere direttamente l’opinione di Angela Merkel (è a capo di un paese democratico da vent’anni, ci sta chiederle un’opinione in merito), il Washington Post sceglie di raccontare la storia dalla prospettiva di Twitter (e comunque questo è il CEO di Twitter, una delle top leading social media platform mondiali, e questo è il CEO dell’Enel, che rimane l’azienda top Italiana in quanto a fatturato – a voi le conclusioni-), il New Yorker ci porta in una delle sue classiche in-depth analyses mostrandoci entrambi i lati della moneta, e infine il mitico xkcd dice la sua sulla faccenda, a suo modo ovviamente.


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EMMA GATTI è una scienziata con una laurea in geologia presso l’Università degli Studi di Milano – Bicocca, un dottorato in geochimica presso l’Università di Cambridge, e sei anni di esperienza da ricercatrice presso il NASA Jet Propulsion Laboratory e il California Institute of Technology di Pasadena. Dopo 12 anni all’estero è tornata a Milano e ha co-fondato Monnalisa Bytes, di cui è anche scrittrice e science editor. Le piacciono i fumetti, i gatti neri e i messaggi vocali.