MONNALISA BYTES

Science Storytelling

Zoosemiotica
8′ 27″

Zoo semiotica: il fascino della animalità

Testi Silvia Anese
Immagini Lucrezia Di Feo
Come comunicano gli animali?
Per capirlo è necessario smettere di pensare da esseri umani

Che sugli animali si sappia molto è cosa nota, eppure alcuni di essi sono talmente incredibili da essere riusciti a nasconderci a lungo la loro esistenza, avendo capito che siamo una specie pericolosa e insopportabile. Casper Henderson ha scritto un meraviglioso libro su questo, “Il libro degli animali a malapena immaginabiliFonte:Henderson, che riassume in modo brillante il fatto che sugli animali sappiamo molto, ad esempio come si riproducono, dove vivono, come cacciano e così via, ma che questo non ci impedisce di non capire nulla sull’animalità. Per parlare di animalità (ovvero il punto di vista degli animali) è necessario passare per la lente attenta della zoosemiotica, che delle tante scienze che si occupano del mondo animale è forse una delle più sconosciute. 

La semiotica risulta essere di per sé un campo complesso, e anche per i Sapiens specializzati in questo ambito è difficile comprendere bene cosa essa sia. Si può dire che la semiotica studia i segni (testi, immagini, azioni, comportamenti e molto altro) e il modo in cui questi acquisiscono un senso. Questo processo viene chiamato significazione, stiamo quindi parlando di una scienza che studia il modo in cui viene dato un senso alle cose. L’unione di questo approccio filosofico allo studio del regno animale è appunto la zoosemiotica. Leggendo la definizione di zoosemiotica essa viene descritta come: “un dialogo tra l’etologia, la linguistica e la semiotica, che studia le modalità di comunicazione e relazione degli animali”. Fonte:Greimas Quindi se l’etologia si occupa del comportamento degli animali e la linguistica studia il linguaggio degli esseri viventi, la semiotica dà il suo contributo cercando di comprendere quali siano i modelli e le strutture concettuali che si creano durante i processi di costruzione di senso. 

Purtroppo, dopo un iniziale interesse per una prospettiva zoosemiotica, la semiotica si è concentrata principalmente sul linguaggio umano, relegando al di sotto della “soglia semioticaFonte:Eco la comunicazione delle specie non umane.

SOGLIA SEMIOTICA

La soglia semiotica sancisce e individua i limiti di una interpretazione, nel momento in cui si definisce un campo d’analisi. Seguendo la terminologia di Eco, si tratta di porsi a un livello molare (fenomenologico-esperienziale) contro un livello molecolare (scientifico-cosmologico): una volta fissata tale soglia di pertinenza, «non solo si disegnano impossibilità oggettive non negoziabili, ma si disegnano anche punti di partenza dai quali inizia la mia attività inferenziale». Fonte:Eco

Negli ultimi decenni, tuttavia, gli studi etologici hanno compiuto enormi progressi, dimostrando la sofisticazione dei codici comunicativi di varie specie (soprattutto primati, delfini e corvi).

DELFINI

A proposito di delfini, un gruppo di studiosi del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) ha recentemente scoperto in questi animali la coesistenza di due tipi diversi di linguaggio, uno per “giocare” e l’altro per “comunicare” con il gruppo. I delfini comunicano con il proprio gruppo utilizzano un “dialetto” particolare, che si sviluppa nel corso degli anni e che diventa un veicolo di riconoscimento fra esemplari della stessa comunità. «I delfini — spiega Massimo Azzali del Cnr — comunicano usando due linguaggi o segnali acustici: i suoni (frequenza 20kHz), detti segnali di vocalizzazioni, e gli ultrasuoni (frequenza tra 20 e 200 kHz), detti segnali sonar o di ecolocalizzazione». Fonte:Link I primi in generale riflettono la reazione “emotiva” del delfino a uno stimolo esterno, i secondi servono per orientarsi, comprendere dove sono i predatori e segnalarlo al gruppo.

Zoosemiotica

Quando si parla di studio dell’animalità, quindi, è necessario usare la zoosemiotica al fine di comprendere come effettivamente funziona la mente animale. Non stiamo parlando di sapere cosa mangi un pipistrello e di quale sia il suo comportamento sociale, ma si tratta di indagare il funzionamento della sua mente e il linguaggio che usa per comunicarlo. 

Alla fine siamo scimmie bipolari, nel mezzo tra gli irascibili scimpanzé e gli amabili bonobo”.

Zoosemiotica

La mente animale è diversa dalla nostra e per studiarla è necessario un reset completo del nostro modo di ragionare, e qui entrano in gioco filosofia e semiotica, che aiutano a decostruire i nostri concetti di “uomo” e “animale”. Contro chi pensa che il mondo si riduca alla contrapposizione fra gli animali da un lato e l’uomo dall’altro, si apre l’immagine di una immensa distesa di forme in movimento: “l’animalità è uno spazio stracolmo di inimmaginabile diversità”. Fonte:Cimatti È proprio questa diversità ad essere indigeribile, perché il nostro pensiero, che invece è pigro e frettoloso, vuole poche e semplici categorie, e quella uomo-animale è la più facile di tutte. Thomas Nagel in “Cosa si prova a essere un pipistrello?Fonte:Nagel, cerca di spiegare l’inaccessibilità alle altre menti animali, perché qualunque cosa immaginiamo, lo faremo sempre e comunque con la nostra impostazione umana. 

IMPOSTAZIONE UMANA

È la nostra esperienza che fornisce il materiale di base alla nostra immaginazione, la quale è perciò limitata. Non serve cercare di immaginare di avere sulle braccia una membrana che ci consenta di svolare al tramonto per acchiappare insetti; di avere una vista molto debole e di percepire l’ambiente circostante tramite un sistema di segnali sonori ad alta frequenza. Anche immaginando tutto ciò, quello che otteniamo è cosa proveremmo noi comportandoci come un pipistrello. Non è questo il punto, quello che vogliamo sapere  è cosa prova un pipistrello ad essere un pipistrello. Eppure quando cerchiamo di figurarcelo, ci troviamo ingabbiati nelle risorse della nostra mente, e queste risorse non sono all’altezza dell’impresa. 

L’animale è sempre stato pensato in negativo, come il “non” umano”.

Filosofi come Jacques Derrida suggeriscono di trovare “l’animalità che è in noi” Fonte:Cimatti, e forse è proprio questo l’approccio giusto per noi, che alla fine siamo: “scimmie bipolari, nel mezzo tra gli irascibili scimpanzé e gli amabili bonobo”. Fonte:Waal

Siamo così abituati a non pensare a noi stessi come animali che ci dimentichiamo di esserlo: come noi anche altri animali hanno un linguaggio analizzabile con strutture semiotiche. Perché partire da questa separazione, da una parte l’essere umano e dall’altra il resto del mondo vivente? Perché assegnare tutta questa importanza all’essere umano? Come sottolineò il filosofo Felice Cimatti in un’intervista: “ la distinzione fra “uomo” e “animale” collassa su sé stessa […]. La filosofia comincia quando si abbandona quella coppia”. Fonte:Paravat Il problema filosofico dell’animalità non è quello di come entrare in relazione con l’animale, e non è nemmeno quello di stabilire se l’animale abbia una vita psichica di qualche tipo. Il punto è come entrare in relazione con degli organismi viventi radicalmente diversi dall’essere umano. 

Noi animali umani ci siamo auto assegnati il compito di decidere chi sente e chi no, chi è vivo è chi no: questo ci allontana dalla comprensione della diversità. Se questa radicale diversità non viene presa in considerazione fino in fondo, il problema filosofico dell’animalità non viene nemmeno sfiorato. L’animale è sempre stato pensato in negativo, come il “non” umano. Di conseguenza il problema è sempre stato impostato partendo dall’uomo come centro: qual è il livello di umanità negli animali, e quanto sono simili a noi?  Ma il focus dell’animalità non è quanto siamo simili agli animali, bensì quanto siamo diversi. 

Per occuparsi filosoficamente degli animali è importante mettersi nella situazione di chi rinuncia al proprio potere di soggetto che osserva e giudica dall’esterno, di chi assegna nomi e fa confronti. Facciamo un esempio per comprendere meglio questo punto fondamentale, parliamo dei primati.

Zoosemiotica

Darwin ha sempre sostenuto che la struttura sociale delle comunità di primati fosse retta da un maschio dominante con pieno potere sulle femmine della propria colonia. Partendo da questo presupposto, negli anni 70, Jane Goodall decise di fare qualcosa che avrebbe rivoluzionato il mondo della primatologia. Goodall è un’etologa e antropologa inglese, ormai celebre in tutto il mondo per la sua ricerca, durata 40 anni, sulla vita sociale e familiare degli scimpanzé. Quello che fece fu rifiutarsi di studiare i primati senza prima instaurare con loro una qualche relazione affettiva. Iniziò così ad integrarsi in un gruppo di scimpanzé e partecipò alla loro vita sociale, relazioni familiari, allevamento dei piccoli etc. Fu criticata dalla maggior parte degli scienziati, in quanto la sua presenza nel gruppo di primati avrebbe modificato i comportamenti degli animali, invalidando tutto lo studio. Eppure, così facendo, è stata capace di comprendere che le femmine hanno invece un ruolo fondamentale nel gruppo. Soprattutto la maternità ha infatti un ruolo centrale nella colonia e conferisce uno status di potere alle scimpanzé che hanno una prole. La Goodall, trasgredendo i protocolli della scienza, riuscì così a ribaltare le idee darwiniane (e freudiane) che vedevano il maschio come solo esemplare dominante sull’intero gruppo. Mettendo in gioco il suo essere donna sensibilmente coinvolta, piuttosto che sedersi e giudicare dall’esterno come uno scienziato distaccato, ha rivoluzionato gli studi sui primati.

Questo è un esempio straordinario di come in ambito etologico, la relazione di conoscenza ed esplorazione non è fra un soggetto e un oggetto, ma fra due soggetti, e include dunque la relazione intersoggettiva, dove ognuno può cambiare in rapporto all’altro. Come sostiene la filosofa belga Vinciane Despret Fonte:Despret, non possiamo permetterci di essere osservatori esterni, anzi. È necessario intervenire sul campo quando possibile, mettendo in gioco passioni oltre che ragioni, valori oltre che metodologie. Intendere l’etologia come discorso scientifico, piuttosto che come scienza della natura, evidenzia come la definizione dell’animale e del suo comportamento non è tanto il frutto di un’osservazione e di una riflessione neutra, bensì di una presa di posizione ideologica e politica, etica e, forse, estetica, dettata dalla nostra incapacità di “scendere dal trono” sul quale ci siamo auto-eretti. 

Ma se esiste un mondo condiviso da umani e non umani, nella vita quotidiana come in quella sociale, perché metterlo fra parentesi, perché sacrificarlo?

Una volta compreso questo meccanismo, una volta distrutte le categorie, la zoosemiotica diventa un modo meraviglioso per esplorare la vita che ci circonda. 

Le api per interagire danzano.

LA DANZA DELLE API

Fu Von Frisch a denominare “danza delle api” Fonte:Frisch la sua scoperta sui modelli comunicativi di questo insetto. Una funzione segnica per mezzo della quale le api comunicano la presenza di cibo, la sua localizzazione e la sua ricchezza. Questo avviene tramite l’orientamento del volo, la sua direzione e una notevole quantità di movimenti specifici e codificati, ed è un meraviglioso esempio di un processo di significazione. É così che semplici movimenti diventano segni.

I polpi comunicano mentre dormono cambiando colore in base a quello che sognano. 

Zoosemiotica

I SOGNI DEI POLPI

Il biologo marino David Scheel, osservando i polpi ha fatto una scoperta sensazionale rispetto alle fasi del sonno ed ai cambiamenti che si manifestano nel loro corpo in corrispondenza dell’attività cerebrale a riposo. Nel breve documentario intitolato “Octopus: Making Contact” Fonte:Octopus sono ben visibili i passaggi di colore del polpo che da bianco diventa dapprima giallo, poi via via scurisce fino ad assumere una tonalità molto scura per tornare infine bianco. Secondo il biologo, la variazione nella colorazione del polpo è dovuta all’attività onirica del mollusco. Scheel ritiene infatti che durante il sonno la creatura marina stesse sognando la caccia e che questo abbia provocato un cambiamento del colore del suo corpo, che è passato dal bianco al nero. Si tratta di un fenomeno normale nei polpi, che durante la caccia si mimetizzano con il fondale per non attirare l’attenzione della preda. 

Osservare e scoprire questi sistemi di significazione implica l’accettare che essi non sono una nostra proiezione, bensì hanno delle culture di riferimento specifiche e che le trasformazioni, e le relative identità, sono reciproche.

SILVIA ANESE è una semiologa laureata presso la facoltà di Lettere e Filosofia di Bologna. È specializzata in zoosemiotica, una disciplina che lega l’etologia alla linguistica. Alla perenne ricerca di significati nascosti, studia modelli comunicativi che uniscono mondo umano e animale. Vive in Friuli, pratica discipline circensi e quando non scrive va in montagna: pare che si rifiuti di scendere.

LUCREZIA DI FEO, dopo un percorso di studi di tipo umanistico, si è appena laureata in Design della Comunicazione. Il suo sogno nel cassetto è quello di diventare una fumettista professionista e di pubblicare storie e racconti su personaggi inventati da lei. La sua seconda passione sono i suoi amici a quattro zampe Ben e Mia.